Ehi scrittore, ti serve una mano?

Ehi scrittore, ti serve una mano?

Ogni volta che una stella cade e qualcuno tende la mano per farla rialzare un’altra stella si accende

Pollice

C’è che senza pollice non potremmo fare cose di importanza fondamentale, che contraddistinguono la nostra specie. Cose come fare l’autostop per farci dare uno strappo da copie non autorizzate di Thelma e Louise, cose come mimare il “mi piace” del social che più social non si può. Et similia. Per questo uno scrittore deve avere un pollice da competizione

Il pollice verde per far fiorire le idee

L’altro giorno (espediente con cui uno scribacchino prende le distanze -ma-non-troppo da un evento) ho visto tante piante grasse fare capolino dal retro di un furgoncino lasciato aperto come si fa nelle cause in cui c’è sempre una sedia liber per aggiungere un posto a tavola se c’è un amico in più. Così ho pensato che la tanto amata scrittura è come una pianta grassa: sopravvive a intemperie incredibili ma per quanto sia talvolta, apparentemente, pronta a pungere, con le giuste cure può dare dei fiori meravigliosi. Ho pensato che se la mia scrittura avesse un nome potrebbe chiamarsi Sabrina. Ché questo nome ha un’etimologia incerta, come incerta è quasi sempre di ogni passione la provenienza, ma potrebbe voler dire spinosa ma dolce. Ecco, spinosa. Ma dolce.

Tu che nome daresti alla tua scrittura, pianta che non pianteresti mai in asso? 

Ho anche pensato altre cose, oltre all’onomastica della scrittura. Ho pensato, per esempio, a quello che mi aspetto da quest’orticello. Dove con “quest’orticello” intendo una distesa di inchiostro su fogli arati e irrigati a intervalli molto (poco) regolari. A quello che mi aspetto e a quello che faccio per ottenere quello che mi aspetto. Tu ci pensi mai davvero a cosa vorresti e al fatto che “se continui a fare quello che hai sempre fatto otterrai sempre (nella migliore delle ipotesi, aggiungerei) quello che hai sempre ottenuto? Oppure fai come quelle biro, che sembrano sempre un po’ scariche e tu devi star lì, a sfregarle tra le mani, a scaldarle con un impegno che non sei neanche certo meritino e quando scrivono, perché sì, poi alla fine scrivono, scrivono senza lasciare mai davvero il segno?

La domanda già la sai. La risposta? Pure.

Il pollice opponibile

La scrittura è come un guanto: quando trovi la storia che ti calza non scivola via. Ma a volte puoi avere la tentazione di indossare guanti inadeguati. Magari prendi un libro, lo divori, e quando hai finito, lavando il piatto, ti specchi e vedi una nuova storia, tutta tua. Ma sbagli guanti, sbagli modo di trattarla e indossi la lana, sotto l’acqua, che però si bagna e non è adatta. Oppure hai una pioggia di idee in testa, idee così fulminanti che i tuoni dei tuoi pensieri non ti lasciano dormire eppure quando esci fuori dalla tua “comfort zone” pronto a lasciarti investire dalle storie poi le storie ti scivolano di mano come pugni di sabbia. Perché non hai i guanti adatti, perché a volte le storie sono difficili come certi lanci nel baseball ma se le afferri fanno di te un diamante.

Tu sai già qual è il tuo (modo di agguantare le storie e di suonarle come si fa con lo xilofono) guanto?

Pollicino docet

Secondo me non è sempre vero che chi lascia la strada vecchia per la nuova deve rassegnarsi al saper quello che lascia e non saper quello che trova. Senza possibilità di tornare indietro. Propongo di restare fedeli al metodo scientifico, nella scrittura. Procedere per tentativi successivi. Lasciandosi la possibilità di fare un passo indietro. Cosa vuol dire?

Saper fare un passo indietro riguardo il proprio blog, per esempio. Indietreggiare per avere una visione d’insieme e riservarsi il diritto di ricredersi su qualcosa. Che non significa rinnegare. Ma sapere quando è il caso di cambiare e quando è il caso che cambiare equivalga a ritornare a uno stato proecedente.

Saper fare un passo indietro quando si ha per le mani una storia. Non incaponirsi, su quella storia, se camminandoci dentro ci si rende conto che si procede a tentoni.

Saper fare un passo indietro rispetto a un progetto. Perché magari a un bivio la scelta tra le due alternative è stata sbagliata. Perché magari una strada che prima sembrava impraticabile da lontano si è capito essere più che possibile. Più che percorribile: da percorrere senza se e senza ma.

Anche per questo è importante tener traccia di dove ci si trova, di dove si era e di dove si vuol andare: siamo il frutto di ciò che abbiamo fatto ma anche di ciò che possiamo scegliere di rifare e di migliorare.

Tu che domanda ti faresti, a questo punto?

20 pensieri su “Ehi scrittore, ti serve una mano?

  1. Penso che indietreggiare, come dici, sia il passo giusto, a volte. Spesso andare avanti nella storia, senza guardare ciò che abbiamo creato finora, può dare problemi. Occorre anche fermarsi e ragionare su ciò che abbiamo fatto.

    Anche nel blogging è lo stesso. Io ho abbandonato un blog proprio per aver indietreggiato e essermi accorto che là non ero riuscito a costruire nulla di valido.

    1. “Io ho abbandonato un blog proprio per aver indietreggiato e essermi accorto che là non ero riuscito a costruire nulla di valido.”

      Apprezzo sempre chi riesce a smettere di tenere in piedi qualcosa che non ha fondamenta, o non ha prospettive di arrivare al cielo o entrambe le cose.
      Apprezzo chi sa farlo perché penso sempre che chi sa “distruggere in modo costruttivo” sappia essere più attento, più esigente e ponderato quando costruisce qualcosa di solido davvero.

  2. La domanda e’ quale motivazione inconscia stia alla base del lapsus calami per cui hai scritto che il posto liber(o) viene lasciato non in ogni casa ma in ogni causa. Come avvocato non posso non chiedermelo. 🙂
    Per il resto, pollice recto.
    Ma non dimenticherei le altre dita.
    Perché in certi casi (e rispetto a certe persone) in medio stat virtus.

  3. Il pollice è il mio strumento di megalomania, rompe il guscio dell’introversione e mi indica al mondo, dice “ecco Seme Nero!”. È il mio pollice nero che ha fatto nascere piccoli germogli di scrittura, ma come chiamare queste piantine ancora non lo so, ché sono piccine, ancora senza identità. Intanto le pianto nel mio piccolo orto di semi d’inchiostro, e chissà che insieme non si diano un nome da sole. Che crescano, mettano radici, anche spine e no, niente guanti! Voglio lasciarmi ferire dalla mia scrittura, che mi dia cicatrici su cui riflettere, lezioni da ricordare con una tacca sulle dita. Adesso è il momento di andare avanti, perché sono rimasto fermo troppo a lungo, per troppo mi sono guardato indietro. Quando resterò senza fiato, senza ossigeno per le parole, allora mi fermerò a controllare, a riposarmi sotto un bell’albero.

    1. “Voglio lasciarmi ferire dalla mia scrittura, che mi dia cicatrici su cui riflettere, lezioni da ricordare con una tacca sulle dita”

      Questa è anche la mia idea della scrittura. “Ho sanguinato e sanguino per te”, come direbbero i Radiohead.

  4. Grande capacità, quella di fare un passo indietro! Non per paura, ma perché si riconosce di essere arrivati dove non si voleva andare. Magari dovevi essere un metro più in là, oppure mezzo emisfero. Forse perché ho vicino una persona convinta del “se ho deciso di fare così, ormai vado fino in fondo”, sono molto consapevole degli svantaggi portati da questo atteggiamento.

    1. “Perché si riconosce di essere arrivati dove non si voleva andare”

      Capisco molto la persona che hai accanto. Perché spesso abbandonare e smettere di pensare “se ho deciso di fare così ormai vado fino in fondo” sembra proprio una sconfitta. Ma è perché a volte ci dimentichiamo che le vittorie e le sconfitte non sono tacche di cui dobbiamo rendere conto a qualcuno di “esterno” ma si misurano soprattutto ocn la nostra di soddisfazione.

      Quindi perché arrivare fino in fondo a qualcosa quando arrivare fino in fondo a quel qualcosa ci fa toccare il fondo della nostra soddisfazione?

  5. “Saper fare un passo indietro rispetto a un progetto”.
    Sono una tua lettrice silente, ma stavolta devo commentare 🙂 Questo post mi ha punta sul vivo, non sulla scrittura ma sulla mia vita: a luglio decisi di fare un passo indietro rispetto al mio progetto di vita, di fermarmi per un anno e raccogliere le idee e tutte le emozioni vissute in viaggio.
    Questa scelta è stata durissima, ma si è rivelata vincente: ho ripreso in mano il mio blog che si era assopito perché troppo impegnata a girovagare. E ho ripreso in mano la mia vita: ora, in serenità, posso pensare a nuovi progetti.
    Grazie per il bellissimo post!

    1. Mia cara Eli! Ciao! Che bello averti anche qui perfino parlante!
      Sapere di averti colpita è un bel colpo anche per me: uno di quei colpi che ti dà una spinta in avanti e una sferzata d’energia.
      Ho letto con molto interesse la tua storia e, a prescindere dal cammino che si può scegliere, credo ci sia un messaggio valido per chiunque che sta racchiuso nella tua frase “ho ripreso in mano la mia vita”.
      Dovremmo fermarci, di tanto in tanto, per controllare che la nostra vita non ci sia scivolata dalle dita.

  6. Io sono molto testardo e ci metto un po’ a riconoscere una strada sbagliata, ma quando ci riesco, cerco di imparare qualcosa dai miei errori. Quindi la domanda a questo punto è: cosa ho trovato su questa strada che non cercavo? Alla fine se devi tornare indietro, devi portare l’esperienza sempre con te.

    1. Ecco, secondo te, anche dopo aver catalogato la strada come errata, ci si può portare dietro anche quello (anche se poco) che si cercava e che in quella strada si è riusciti a trovare?

  7. Io sono felice di aver dato un tale spunto a Eli e la cosa è reciproca, recentemente ho tratto spunti dal suo blog. Se poi è felice anche Monia, meglio.
    Secondo me, sì, ci si può portare dietro quel poco, è pur sempre un’esperienza, e può aiutarti a non sbagliare di nuovo. Può anche aiutarti a sapere dove devi andare, se un giorno la strada per cui devi passare è proprio quella che ora è sbagliata.

    1. Monia: “Atti di infinitamento” tra commentatori, ah ah! Bello.
      Renato: infatti, la mia strada attuale è quella che avevo lasciato qualche anno fa, e che oggi mi serve di passaggio per andare avanti.

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