– Tu vai pazza per le parole, vero?
Guardò Lenore.
– Vero che vai pazza per le parole?
– Cioè? Che significa?
– Significa che mi dai l’idea di una che va pazza per le parole. O forse pensi che siano loro a essere pazze.
– In che senso?
– Nel senso che le prendi terribilmente sul serio,
disse.
– Tipo come se fossero un bisturi, o una motosega che rischia di tagliarti con la stessa facilità con cui taglia gli alberi.
A volte c’è che ho un dubbio e certi dubbi, se non li sciogli, si gonfiano come palloncini o come gengive poco prima che erompano i denti del giudizio (nota al margine: l’autrice di questo post non ha i denti del giudizio) e poi finisce che ti strozzano e si strozzano perché sono gonfi e allacciati e si comportano come i visceri quando sono torti e avvolti e a un certo punto (troppo tardi) si rendono conto che non possono essere così e non farsi male, ché loro sono visceri, non sono rami.
A volte c’è che un dubbio, in effetti, non è esattamente ciò che ho, a volte più che un dubbio è proprio una domanda e una domanda, a volte, è un dubbio che è cresciuto, una domanda è un dubbio che “ce l’ha fatta”, una domanda è un dubbio che non oscilla più tra un paio di possibilità, non se ne sta più dove si tocca e di tanto in tanto saltella e prova l’ebbrezza di non sentire più niente sotto i piedi ma poi torna a piantare i piedi sulla sabbia, no, una domanda non ce l’ha più questa possibilità. Fondamentalmente una domanda è un dubbio che ha davanti a sé infinite possibilità. Tante possibilità. Troppe possibilità. Allora non sempre se la sente di mettersi a fare il pendolo, a volte una domanda, “semplicemente” se ne sta ferma, molto ferma, finché stare ferma diventa franca immobilità.
A volte c’è che ho semplicemente voglia, o forse è desiderio, o forse è bisogno, o forse è un “devo sapere” scritto al neon, di capire qualcosa e non c’è un quesito preciso da porre, c’è solo la nebbia, che non uccide e non ti fa sgusciare fuori dalla tua pelle (ammesso tu abbia una pelle davvero tua) e non ti oscura la visuale al punto tale da non farti più camminare eppure è nebbia, è comunque nebbia, ti confonde, non sai dove sei, non sai dove stai andando, non sai cosa puoi né tanto meno cosa dovresti fare.
Sai, c’è una cosa che faccio quando ho bisogno di una risposta
(No, non è vero, le cose che faccio sono almeno due)
(Spoiler: una di queste riguarda i muri. L’altra, per certi versi, pure)
C’è un espediente narrativo, anzi, una tecnica a tutti gli effetti (ché espediente magari sembra una cosa con un trucco mentre qui non c’è inganno, solo magia) in cui un testo si mette davanti allo specchio e si autocita e si riferisce a se stesso e fa sfoggio della metanarrativa come si fa sfoggio di una bella gonna a ruota con sotto il cerchio quando si indossa una bella gonna a ruota con sotto il cerchio e a ogni giravolta la ruota si gonfia ma non sbuffa. L’espressione che la indica suona benissimo: “mise en abyme”. Cos’è, quindi, in tre parole? Storie nelle storie.
Nella “messa in abisso” di Calamo ci siamo noi che, nel sogno, sognamo di svegliarci e stiamo ancora sognando e in questa storia di sogni a matrioska facciamo un sogno che rende onore a questa bellissima espressione, un sogno dentro una cattedrale del mare (ciao Ildefonso), con una funzione celebrata senza bisogno di ossigeno, senza bisogno di respirare, sempre in apnea, senza sentirne il male, come nella storia che un giorno finirò sulla malattia dei cassoni e che vi farà l’effetto della camera iperbarica o della parola ipotiposi.
Una delle cose che faccio quando ho bisogno di una risposta consiste nel permettere a ciò che mi circonda di darmela questa risposta. Sembra scontato e invece no, è un capo-saldo.
Perché è facile mettersi a urlare che si vuole ricevere un responso, un riscontro, una reazione e poi continuare a urlare fino a non sentire nient’altro che le proprie stesse urla. Nossignore.
Per questo una delle cose che faccio è andarmene in giro, profondamente in giro, andarmene a fondo, scendere giù, guardare dentro i pozzi, camminare accanto alle pozzanghere, alzare il naso al cielo e gli occhi, pure loro, forse, boh, aprire le orecchie, mordermi le labbra quel tanto che basta a confermarmi che non sto sognando (o che, se lo sto facendo, sono diventata proprio brava a farlo), poi fermarmi davanti ai portoni, pensare ai ragazzi che si baciano e mettermi a leggere tutte le scritte che incontro sui muri perché #IMuriSanno. Che sanno? Un mucchio di cose.
Il terzo giorno del terzo mese il Regno di Calamo ha compiuto gli anni e io ho trovato, per caso, l’immagine che c’è qui in cima al paragrafo e ho pensato che, in effetti, la nostra “messa in abisso” è questa cosa di starsene sotto l’oceano che è in pratica il contrario di starsene al sicuro, sotto coperta, mentre è la versione speculare e esasperata del “parlare pure con i pesci, come una sirena… sopra un mare che è sempre in tempesta” di una canzone di qualche anno fa.
Come festeggeremo il compleanno? Facendo tutti insieme le cose che faccio quando ho bisogno di una risposta, perché, in effetti, chi di noi non ha bisogno di almeno due-tre (più spesso un’infinità di) risposte?
Punto A del piano: accetta che #IMuriSanno più cose di quelle che immagini e stalli ad ascoltare
Ci sono scritte sui muri che sembrano specchi perché più le guardiamo più vediamo noi stessi, lì dentro. Il tuo compito, se vuoi diventare un cacciatore-di-bellezza-coltivatore-di-stupore-prenditore-nel-campo-di-segale sarà scovare queste scritte sui muri e condividerle col Regno tutto (la magia va sempre condivisa, solo così non muore mai e anzi si moltiplica).
Cosa fare?
Se hai Twitter puoi cinguettare tu stesso l’immagine della scritta che hai scelto (N.B. non ci sono limiti di dosi, non è un farmaco che ha controindicazioni, puoi condividere tutte le immagini di muri con scritte che vuoi) usando l’hashtag “#IMuriSanno” (se vuoi puoi pure taggarmi, non mi disturbi, sono già disturbata).
Se non hai Twitter puoi scrivermi usando l’apposito modulo di contatto: ti risponderò il prima im-possibile e potrai inviarmi l’immagine/le immagini che hai selezionato via email. Poi io stessa provvederò a twittarle, ringraziandoti.
Punto B del piano: segui la folle “messa in abisso” che creerà storie nelle storie e te le inietterà procurandoti (non) poco dolore
Le scritte sui muri sono cose che #IMuriSanno e vogliono raccontarti. Perché se è vero che “i muri hanno orecchie” è vero anche che certi muri hanno anche bocche. E non hanno paura di usarle. Tu hai paura di ascoltarle? (Se non ne hai un po’ dovresti).
Quindi le scritte sui muri sono già di loro storie. Storie. Quanto ci piacciono le storie? Tanto. Noi siamo storie-dipendenti, per noi le storie sono, insieme, diacetilmorfina e metadone. Ci piacciono troppo per non costruire “storie nelle storie”, inabissarci nelle parole, andare a fare il bagno in questo oceano di possibilità infattibili e fatti impossibili subito dopo aver mangiato polvere d’intonaco e polvere di stelle (indistinguibili a occhio nudo). Per questo dobbiamo fare qualcosa di storico per festeggiare il nostro compleanno (questa perversione di festeggiare le cose che sono state che però proviamo a vedere come la perversione di festeggiare le cose che saranno).
Cosa fare(mo)?
Guarderemo muri per 40 giorni, prestando attenzione a ciò che vedremo, di tutte le immagini che giungeranno al castello ne sceglieremo 36, “solo” 36, 36 storie che solo #IMuriSanno, o, per meglio dire, 36 storie che solo #IMuriSanno, finora, ma che poi sapremo anche noi. Infatti 36 scritte diventeranno 36 racconti(ni) che verranno prescritti a chi si dichiarerà malato in monosomministrazione giornaliera, una volta passata questa nostra personalissima quarantena.
Perciò, ricapitolando: 40 giorni per condividere scritte sui muri con ogni mezzo, di tutte le scritte arrivate al Regno come ambasciate a base di bouquet di matite ben temperate solo 36 saranno selezionate, ognuna di queste 36 scritte farà da spunto narrativo a un racconto piccolo ma grande, chi avrà prenotato la sua dose di questo nuovo farmaco riceverà, a partire dal 20 aprile, una storia al giorno, per 36 giorni.
Tutto oscuro come il linguaggio di quel gran figo di Tasso? Bene così.
Punto C del piano: legger(mi) ti fa male ma continua a farlo se non legger(mi) te ne fa un po’ di più
Sei arrivato fin qui, quindi un po’ ti piaccio, quindi possiamo fare una di quelle cose disgustose che fanno le persone quando si piacciono: raccontarci qualcosa di intimo.
La prima volta che ho scritto una cosa (giuro che non è un autentico momento amarcord, tira pure un sospiro di sollievo), dicevo, la prima volta che ho scritto una cosa o comunque una delle prime c’erano tre tizie che vivevano in una casa che si affacciava su un parco, fuori era tutto verde, dentro, invece, era un gran marasma di colori, come quando non sai fare la lavatrice o non te ne frega niente di farla come si dovrebbe e allora, appunto, dato che hai buttato dentro i vestiti alla rinfusa ti si mescolano tutti i colori. C’erano queste tre tizie e c’erano degli squilibri sentimentali convulsi e c’era un serial killer che uccideva tutte le donne che con gli occhi uguali a quelli della sorella.
Avrò avuto undici-dodici anni.
Capisci perché dovresti smettere di leggermi?
Cosa fare (se, nonostante tutto, vuoi ostinarti a leggermi)?
Hai 40 giorni di tempo per farmi sapere che vorresti leggere le 36-storie-una-storia-al-giorno-liberamente-ispirate-a-quelle-cose-criptiche-e-chiarissime-che-sono-i-muri-parlanti-con-virgola-come-sottotitoli-virgola-le-scritte.
Teoricamente sarebbero 40 giorni da domani ma l’oggi è il nuovo domani, perché troppe volte “domani” è un concetto aleatorio, che, a dispetto della comunanza di suono, poco ha a che fare con la verità. Quindi 40 giorni da oggi, da adesso, da questo giorno assolutamente imperfetto, da questo momento che non ha nulla di speciale, in sé e per sé, da questo sottobosco senza memorie alte e con funghi velenosi che mordono e infettano col senso di inadeguatezza.
Ok, ho 40 giorni di tempo, ma cosa devo fare, perdiana?
Se potessi scegliere scegliere forse proporrei un baratto. Un baratto pericoloso. Un baratto in cui mi farei dare le cornee da tutti quelli che mi leggono, tanto le cornee non danno problemi di compatibilità, e me le infilerei negli occhi, cambiandole di volta in volta, così potrei vedere tutte le cose che avete visto. Ma sarebbe una forma di trattativa molto sporca. E poi io non uso lenti a contatto.
Il modo per ottenere le 36 storie è attraverso il metodo ribattezzato “Metodo Radioheadache”. Perché si chiama così? Perché la prima volta che ho buttato giù dalla barca “Ketamina” e ho detto a tutti i pesci di questo oceanico acquario “prendete e sguazzatene tutti, decidete voi quanto vale, offrite quanto vi va” è saltata fuori (come i delfini, sì, proprio come fanno i delfini) la storia che i Radiohead hanno fatto una cosa bellissima lasciando una loro opera a disposizione a offerta libera. Quindi “Radiohead” perché, tral’altro, qui tanto tempo fa di loro ne abbiamo parlato già ma “headache” perché siamo pur sempre in un posto in cui le storie sono batteri e le idee terapie e qui ci si viene a curare (o a ammalare, ancora non è ancora chiaro) e perché il mal di testa ha comunque, sempre, un suo certononsoche. Quindi, per prenotare le storie hai 40 giorni, 40 giorni in cui potrai fare una libera offerta e poi ricevere dal 20 aprile, per 36 giorni, una storia da (sbattere la testa al) muro al giorno.
- Dimmi che vuoi le 36 pillole-iniezioni-storieinstraneformulazioni
- Aspetta la mia risposta (magari mentre aspetti metti sul fuoco il caffè)
Punto D del piano: “l’ottimo sarà pure nemico del bene ma meno di <<ottimo>>, beh, che schifo”
C’è un momento in cui una persona capisce che ci sono difetti che sono difettidifetti è che dire “sono fatto così” e fare spallucce è stupido e mediocre e a volte pure cattivo e provoca uragani e terremoti e allora questa persona si impegna a migliorarsi, in fondo tutti vogliamo andare “fino in fondo” ma c’è così tanto spazio in mezzo, spazio anche per diventare la versione migliore di se stessi che poi, in fondo, non è altro che più o meno il modo migliore per rendere onore a ciò che si è. Ma c’è un ma.
In medicina il concetto di “asportazione” non è sempre bianco o nero. Da un lato c’è la sana aspirazione a rimuovere tutto ciò che va rimosso, tutto ciò che è deviato, malato, tutto ciò che, a conti fatti, andrebbe proprio eliminato. Dall’altro, però, c’è la realtà con cui scendere a patti, c’è la bilancia che oscilla tra i rischi e i benefici, ci sono cose che proprio non si possono fare, ci sono limiti che non si possono superare. A volte il bene sta nel superare certi confini, a volte nel rispettarli. Perché tutto questo delirio allucinato sui difetti? Perché tra i miei innumerevoli difetti che sono tanti che DFW avrebbe scritto milioni di pagine (Nota: ho scritto “DFW” per celia, lo dobbiamo chiamare David Foster Wallace, ok? Ok), dicevamo, tra i miei difetti c’è anche questo volere forse il bene, qualche volta, più o meno, ma alla fine preferire sempre il meglio.
Cosa fare(mo, quindi)? (Risposta: vinceremo una sfida)
Spesso quando si parla di sfide ci si ritrova a pensare a qualcosa che stabilisce qualcun altro, a regole esterne, a nemici da battere. Ma perché. Non per forza devono andare così le cose, mio unicorno sporco di notti insonni e vernice spray. La sfida che riguarda queste 36 storie murate vive in sacrificio per noi è una sfida che, appunto, riguarda solo noi.
36 storie per 360 copie: se nei 40 giorni di prevendita le 36 storie verranno prenotate da 360 persone allora questa cosa s’ha da fa’.
Altrimenti Euda’?
Altrimenti c’è da considerare che il mondo è pieno di cose belle da leggere, il mondo è pieno di gente di talento, il mondo è pieno di storie, il mondo è pieno di mondi dentro il mondo (chiaro esempio di “messa in abisso”) tutti da vivere. Il mondo non ha bisogno di altri figli indesiderati. Il mondo non ha bisogno di altri stralci lanciati oltre muri che hanno in cima vetri rotti proprio per non farti scavalcare. Quindi altrimenti niente. O il meglio o niente.
Ok, una di quelle tue teorie sul mondo e le cose che ci nuotano dentro. Ma perché proprio 360?
Perché 360 sono i gradi dell’angolo giro e io vorrei farti girare la testa proprio di tanti gradi così.
Punto E del piano: certe storie sono come un’infezione (e tu puoi far parte della propagazione)
Ti ricordi la prima volta che abbiamo parlato del Fattore Magenta? Il Fattore Magenta è una cosa che se non c’è puoi pure non farci caso, se non lo conosci, perché è qualcosa a cui non necessariamente sei abituato, è qualcosa che non ti aspetti e quindi, in quanto inaspettato, il fatto che non sia presente è un fatto che il più delle volte può anche passare inosservato. Ma se c’è? Se sei un soggetto Magenta si sente. Lo sentono tutti. Non è una cosa che ti puoi tenere per te. Essere Magenta e provare a nasconderlo è come dover starnutire e provare a tenere gli occhi aperti: sciocco, pericoloso, fisiologicamente inutile, dannoso.
Ora, è il momento di tirare fuori tutta la tua Magentudo: per rendere realtà queste 36 storie storte (come i denti senza gli apparecchi, come le case ad Amsterdam, come i sorrisi forzati, come i rampicanti senza legni) puoi quindi fare tre cose, tre.
- Diventare protagonista condividendo foto di scritte sul muro con l’hashtag #IMuriSanno: una delle tue foto o tutte o chissà potrebbe entrare a far parte delle 36 selezionate (momento entusiasmo da bibita frizzante terminato)
- Prenotare la tua cura a base di una-storia-tratta-da-una-storia-finita-su-un-muro-sotto-forma-di-scritta al giorno, per 36 giorni
- Diffondere l’infezione diventando Vir(t)us Bisbigliante (sì, basta cliccare, sorbirsi le cose che ho scritto pure lì e compilare il form). Che fa un Vir(t)us Bisbigliante in due parole? Si alza in piedi, racconta di essere un po’ malato di Calamo, ma invece che diventare uno di quei sopravvissuti che raccontano come smettere un vizio diventa qualcuno che un vizio non vuole smetterlo. Un Cesare Pavese che continua ad aspettare la sua ballerina. Anche se piove. Piove forte. Ma ci sono cose più forti della pioggia. Candidati (perché no, non tutti possono diventare Vir(t)us, scusa, mi dispiace, mi devi piacere o niente) e ti spiegherò meglio la tua pericolosa missione.
Punto F: ti avevo detto che quando ho bisogno di una risposta io faccio almeno due cose, ecco qui, prima di chiudere il boccascena, la seconda cosa
Dopo essermene andata in giro e aver ascoltato “i segnali” (come un aruspice ma con (ancora) più sangue) me ne vado ovunque mi sia possibile infilare la mano tra i libri (“hai questo modo di toccare i libri che somiglia ad accarezzarli, sei così ferocemente delicata nel toccarli”). Può essere una libreria, piccola o grande che sia, può essere la pancia della mia borsa (cerniera, rumore e luccichio, sensazione setosa della fodera, libro custodito in mezzo a fazzoletti, belle speranze e caramelle), può essere casa, quando casa è casa. Può essere.
Insomma, scelgo un libro e lo tengo in mano. Lo saluto, gli dico che andrà tutto bene, lo guardo con affetto e con rispetto. Gli dico che ho bisogno di una risposta, gli dico che vorrei una risposta, dico solo “risposta”, a mezza bocca. Gli spiego che l’ho scelto perché mi fido di lui.
Può essere un libro qualunque, in teoria. In pratica non sei tu a scegliere il libro, più spesso è il libro a leggere te. Respiro. Poi lo apro. A una pagina a caso. E leggo la prima frase che mi si infila tra la sclera e il sacchetto lacrimale.
Se non ci leggo una risposta è solo perché non mi sono esercitata abbastanza a guardare.
– Ormai non si vomita più,
disse LaVache.
– Qui all’Amherst qualche anno fa c’è stato un tizio, un tizio veramente mitico, che ha introdotto l’usanza per cui invece di vomitare ci si mette a picchiare la testa contro il muro.
– A picchiare la testa?
– Molto forte.
Aggiornamento del dieci-marzo-duemilaediciassette
Hai mai sentito parlare di “elevator pitch”? Sì, quel discorso/presentazione/dimostrazione-di-ars-oratoria-in-pillole che dovresti essere in grado di fare per presentare la tua idea con la consapevolezza di avere pochi secondi per farlo: giusto il tempo che l’ascensore arrivi a destinazione. Qui, nel Regno, preferiamo le attrazioni del luna park agli ascensori quindi inauguriamo il “ferris wheel pitch”, ossia il discorso lungo come un (veloce) giro su una ruota panoramica in cui si fa un sunto di tutto lo zucchero filato scritto (da me) e letto (da te) fino a qui.
Ferris Wheel Pitch: punto-elenco riassuntivo
- #IMuriSanno è l’hashtag con cui puoi condividere su twitter foto di scritte sui muri che ti hanno colpito. Se non hai twitter puoi contattarmi, così le invii a me via email e me ne occupo io. Fino a quando? Fino al 13 aprile.
- Tra tutte le scritte che arriveranno al castello di Calamo (e tra quelle che il castello ha in archivio) ne saranno selezionate 36. Queste 36 scritte saranno uno spunto narrativo. Per cosa? Per 36 storie, 36 piccoli racconti. A chi avrà prenotato la sua copia, infatti, arriverà ogni giorno per 36 giorni, a partire dal 20 aprile, una storia liberamente ispirata da una scritta sul muro.
- Come si prenota una copia? Riempiendo il form presente nell’articolo.
- Quanto costa una copia? Lo decidi tu. Ognuno offre quanto ritiene giusto, quanto gli va.
- Quanto tempo c’è per prenotare? Le prenotazioni saranno chiuse il 13 aprile.
- Ma c’è un ma? Sì, c’è un ma: le 36 storie a partire dal 20 aprile partiranno solo se il progetto #IMuriSanno raggiungerà le 360 copie, altrimenti a ognuno sarà restituita la sua offerta e ci ritireremo nelle nostre stanze.
- Posso fare qualcosa per aiutare il progetto a vedere la luce? Certo, puoi diventare Vir(t)us Bisbigliante. Se riempirai il form in questo post avrai maggiori dettagli. (Perché solo se riempirai il form? Perché per essere Vir(t)us Bisbigliante è requisito imprescindibile essere sinceramente innamorati del progetto).
- La chicca in più: mi è venuta un’idea. Un’idea nell’idea. Come si confà alla tecnica della messa in abisso. Strano eh? Come avrai notato a me non ne vengono mai idee. Allora, l’idea è la seguente: immaginiamo di essere già arrivati alla fine delle prenotazioni. Abbiamo raggiunto insieme le 360 copie prenotate e quindi, a partire dal 20 aprile, i 360 unicorni prenotanti riceveranno una storia al giorno per 36 giorni scritta da me e ispirata ogni giorno a una scritta sul muro diversa. Potremmo fermarci qui ma ho pensato (e qui sbuca fuori l’idea) di aggiungere una caramella in più. Che sapore ha questa caramella? Ogni giorno, per 36 giorni, i 360 unicorni che hanno prenotato, offrendo quanto vogliono, la loro copia, riceveranno un mio racconto ispirato a una delle 36 scritte selezionate. E fin qui ci siamo, no? Ma, in più, riceveranno anche, in un file a parte, la scritta che ha ispirato il racconto e alcune domande-guida-spunti per scrivere essi stessi un racconto su quella scritta, se gli va!
- Aspetta FataRegina, ma quindi io, oltre a ricevere ogni giorno, per 36 giorni, un tuo racconto riceverò anche un “esercizio” letterario da poter fare? Esatto. Ma, la parola chiave è proprio “poter”. Puoi anche goderti (se ti piaceranno) i miei racconti e basta. O puoi scrivere solo una storia o scriverne 10 o scriverne 25. A te la scelta. La chicca in più è, appunto, una chicca. Sta a te scegliere cosa farne.
- Quindi, il 20 aprile leggerò il primo racconto, il 16 maggio l’ultimo, giusto? Giusto. E alla fine di questo viaggio insieme riceverai tutti i 36 miei racconti riuniti insieme e, in appendice, se qualche unicorno avrà deciso di scrivere qualcosa seguendo gli spunti offertigli e avrà deciso di inviarmelo, potrai anche leggere ciò che altri calamisti hanno scritto durante il viaggio.
- (Perché le cose belle vanno cacciate e coltivate e poi condivise).
Insomma…
- … entro il 13 aprile puoi prenotare, scegliendo tu il prezzo, la tua copia di 36 racconti (uno al giorno, per 36 giorni, dal 20 aprile) ispirati da scritte sul muro.
- Quali scritte sul muro? Scritte sul muro che trovo io e che trovi tu e condividi con l’hashtag #IMuriSanno (o mi mandi via email se non hai twitter).
- Se il progetto fiorirà, inoltre, ogni giorno, oltre al mio racconto, riceverai uno spunto letterario per scrivere anche tu qualcosa a partire da una scritta. Devi scrivere per forza? No di certo. Si tratta solo di un regalo in più che vuole farti il Regno.
- Perché ho detto “SE il progetto fiorirà”? Perché qui vogliamo fare solo il meglio e partorire solo libri desiderati quindi il progetto de #IMuriSanno vedrà la luce solo se raggiungerà le 360 copie prenotate. Nella pagina dedicata agli aggiornamenti rapidi (la pagina chiamata provvidenzialmente “iniezioni”) potrai seguire gli aggiornamenti di questo progetto e del blog.
- Cosa puoi fare tu per il progetto? Chiedere di prenotare la tua copia compilando il form sul post (sì, ok, te ne metto un altro anche quaggiù, non sono carinissima?), (se vuoi puoi anche) diventare un Vir(t)us Bisbigliante e favorire la propagazione di questa infezione (quando compilerai il form riceverai un’email in cui ti sarà spiegato tutto più approfonditamente), essere felice.
- Che c’entra essere felici? C’entra sempre essere felici. Niente funziona quando ci si convince che essere felici non c’entri più.
Un Wallace di commiato
Nonna dice che ogni racconto si trasforma automaticamente in una specie di sistema, un sistema che controlla tutti i personaggi coinvolti
Pensa che sistema verrà messo in piedi da una galassia di ben 36 racconti.
L’ha ribloggato su trafantasiapensieroazionee ha commentato:
Le ultime novità da Calamo…da leggere con “attenzione precisa” e scegliere come poterci essere(oppure no, ma vi conviene il si). Buona lettura!
360 lettori non sono tantissimi. Non sono pochi, ma considerando il livello e l’idea d 36 racconti, il contest #iMuriSanno… e poi l’esclusività del tutto, il coinvolgimento, il partecipare in qualche modo a una cosa nuova, la vedo come un’idea geniale
Una Monia-Idea bellissima. Iscritta!
Monia! Ho peregrinato a lungo lontano dal Regno di Calamo ma non vi ho scordato. Un unicorno compariva sempre a ricordarmi l’esistenza del Regno porporinato.
Poi, nel mio peregrinare, un cavaliere di nome Andrea, improvvisatosi araldo ha cominciato a diffondere notizia del grande evento. E sono accorsa non potendo ignorare l’accorato appello. E come sempre accade, trovo cose che magicamente risuonano. Fra un po’ a Torino c’è il Festival della Psicologia. Cosa c’entra dirai. C’entra perché il titolo di quest’anno sono le Storie. E il simbolo? Una matrioska sgargiante! Tutto torna, come me 😉
Ovviamente ho prenotato (e chi se lo perdeva). E ora salutandoti passo su Twitter a postarti una scritta vista poco tempo fa 😉