Tutto quello che avreste sempre voluto sapere su self publishing e editoria a pagamento…

self publishing e editoria a pagamento
… Ma non avreste mai osato chiedere.

Se non all’Imperatore di Pennaland. Giocando, entrambi, a fare i finti tonti e scambiarsi domande poste con le bocche di altri e risposte date guardando ai fatti coi propri occhi.

Sì, si parla di self publishing e editoria a pagamento. Se ne parla sia qui che a Pennaland, l’isola della scrittura in cui ben si capisce come la scrittura sia al tempo stesso malattia e cura (ah no, il blog medicamentoso è il mio, scusa. Il fatto è che Penna è uno di quei posti in cui ti senti così a casa che anche da una chiacchierata privata può nascere un post con cui bruciare le retine ai lettori in una mattinata.)

Senti, io vorrei pubblicare un libro e ho letto che su Amazon non ci vuole niente, basta che inserisco il mio ebook e è fatta. Facile, no? Che dici, ci provo? Ho tante storie in mente da scrivere.

Ehi, ciao! Aspetta, aspetta, che aguzzo l’udito. Cominciamo dall’inizio, ok? Su Amazon non ci vuole niente se vuoi pubblicare un libro che valga poco (e niente). La pubblicazione in sé e per sé, quel momento di transizione in cui prima il tuo libro non esiste come libro pubblicato e poi è potenzialmente acquistabile da chiunque e ovunque (o quasi. Più quasi che ovunque) è un passaggio che può essere piuttosto indolore, in effetti.

Ma c’è tutto un meraviglioso travaglio da fare prima per partorire un bimbo vero e non solo la placenta. Che poi, inter nos, tu potresti pure pubblicare un libro tutto vuoto, fatto di sole pagine bianche, e sperare che i lettori trovino geniale la tua metafora dell’impossibilità di comunicare e puoi intitolarlo “non chiedetemi la parola” e sguazzare in pochi click in un mare di successo e incassi. Ma no, non succederà. Che poi delle storie che hai in testa non frega a nessuno. Vuoi scrivere le storie che hai in testa solo perché è facile?

Allora lascia perdere. Le storie vanno scritte a prescindere, se le si vuole scrivere. Se poi è facile tanto meglio. Il fatto che certe procedure stiano diventando sempre più accessibili non significa che si debba accedere per forza. Il fatto che puoi non vuol dire che necessariamente la semplificazione di iter “burocratici” che a volte invece che meriti hanno solo demeriti, che a volte sono una cornice pesante che rende tutto troppo farraginoso, non deve tradursi in appiattimento, in insquallidimento (dalla regia mi dicono che questa parola non esiste), del contenuto.

Hai una grande occasione: renderti raggiungibile. Perché la meta della pubblicazione è oggettivamente più raggiungibile. Quindi tu arrivi dove vorresti più facilmente e se tu arrivi più facilmente dove vorresti anche chi vorrebbe raggiungerti può arrivare più facilmente a te. Ma, piccola domanda, tu hai intenzione di dare a qualcuno un motivo per volerti raggiungere o no? Allora devi anche parlare la lingua giusta. E la lingua giusta, quando si parla di ebook, è fatta pure di codici.

Ora che non hai più voglia di battere sulla tastiera, che ti sei spezzato le falangi dal terrore, voglio dirti che niente è facile o difficile in senso assoluto ma tutto può diventare più semplice se ci si mette alla prova con umiltà e curiosità, con tenacia e spigliatezza.

Di come si può realizzare praticamente un ebook ne ha parlato il mio doppio blogghesco di oggi che su come realizzare un ebook ha investito fiumi di parole e nel mare magnum della rete ho trovato anche un altro pesce scrittore che ha parlato di come fare delle storie che hai in testa un ebook. Come vedi non è impossibile. Quindi non è il caso di scoraggiarti.

Ma ci vuole un po’ di tempo e perizia anche solo per ottenere una formattazione decente e, sai che c’è? La formattazione è solo uno degli aspetti da considerare! Pensa alla formattazione come a solo un granello del mucchio di sabbia che ti si è infilata nelle scarpe e ora ti sta tra i piedi mentre tu vorresti solo correre nelle foreste dell’Amazon(ia) e tagliare alberi di pixel per scriverci sopra i tuoi capolavori.

 

Ah, pensavo fosse più facile. Qui tutti pubblicano romanzi e li mettono su Amazon. Ma allora, secondo te, è meglio che mando un libro a una casa editrice e aspetto mesi e mesi la risposta o me lo pubblico per conto mio su Amazon?

Tutti dicono anche bugie pensando davvero che non li scoprirai e indossano calzini bianchi. Ti sembra sia il caso di imitarli? Allora, per rispondere a questa domanda vorrei scomodare Stefano Accorsi prima che diventasse lo Stefano Accorsi che tutti abbiamo amato nelle Fate ignoranti (cioè, io almeno sì). “Du gusti s megl che uan”! Che vuol dire? Vuol dire che il bello, la cosa stratosfericamente emozionante, la vera svolta è che puoi scegliere. Sì, puoi scegliere.

Puoi scegliere se provare la strada dell’editoria “tradizionale” e puoi scegliere questa strada per mille ragioni e io ti dirò che hai fatto bene. Ti dirò di pensarci meglio solo in un caso: se sei sul punto di tentare con l’editoria “tradizionale” soltanto perché non conosci bene l’alternativa. Perché le scelte, per essere scelte consapevoli, devono essere figlie di una certa consapevolezza delle varie possibilità.

Oppure puoi scegliere senza indugi la via del self publishing. E pure in questo caso avrai tutta la mia approvazione (per quanto può importartene, certo). Ma, per favore, non farlo solo come ripiego. A te piacerebbe essere considerato soltanto una seconda scelta? Non far sentire l’opzione “auto pubblicazione” una ragazza intelligente, carina e brillante che però riceverà da tutti l’attenzione dedicata a un comodino perché ha avuto la sfortuna di essere la sorellina minore e meno famosa di una star. Qualsiasi strada deciderai di intraprendere assicurati che la stai percorrendo con convinzione.

Ma torniamo a Accorsi e al concetto dei due gusti: il bello di questa scelta possibile è che, appunto, puoi scegliere. Ma non devi. Non necessariamente. Puoi decidere di autopubblicare una parte della tua collezione di scritti da cassetto e di sottoporre gli altri al giudizio di un editore, puoi vedere all’autopubblicazione come a uno sfigmomanometro con cui misurare il polso dell’interesse del pubblico per le tue storie e poi decidere se continuare con questa via o cercare un editore (anche se a quel punto potrebbe anche essere l’editore a cercare te e a quel punto potresti essere tu a dettare le tue condizioni), puoi dare in pasto al self publishing scritti gratuiti per farti conoscere, puoi inviare un manoscritto a un editore, venire pure pubblicato e poi decidere di auto pubblicare i tuoi romanzi successivi o di indirizzare verso il self publishing una nicchia specifica della tua produzione.

Insomma, l’incidente più bello di questo nuovo assetto editoriale è che possono essere considerate sempre più due rette potenzialmente incidenti il self publishing e l’editoria tradizionale.

 

Io però mi sento pronto. Ho scritto un bel fantasy e l’ho riletto 4 volte. Ho fatto una copertina da me e mi piace un sacco. Dici che il mio ebook non può andare? Non lo posso vendere per conto mio?

Certo che puoi. Del resto anche Pinocchio voleva andare nel Paese dei Balocchi e alla fine ci è andato, no? Peccato però che sia finito a ragliare. Ecco, tu sei alla guida del tuo libro e del suo destino come può essere un conducente ubriaco alla guida del battello ebbro e le scelte che fai dipendono in larga misura dalla stazione a cui vuoi arrivare.

Tu vuoi ostinarti a vedere in tutte le figure utilissime che potrebbero aiutarti nel rendere il tuo libro un treno a alta velocità solo passeggeri senza biglietto intenzionati a metterti i bastoni tra le ruote? D’accordo. Ma poi non stupirti se vedrai il tuo libro deragliare.

Ok ok, ora però non ti demoralizzare. Io trovo davvero fantastico (per restare in tema) che tu ti senta pronto. Perché c’è gente qui (ogni riferimento a chi sta scrivendo questo post e /o a chi lo sta leggendo è puramente casuale) che fa una fatica boia a sentirsi “pronta” e hai voglia di mangiare una brioche dopo l’altra aspettando di avere un colpo di testa (senza perderla però) e di deciderci a pubblicare. Quindi partiamo dal presupposto che sono contenta per te. Ma il fatto che tu ti senta pronto non significa che anche il tuo libro fuori da ogni ragionevole lo sia come te. Perché “l’ho riletto 4 volte”, per esempio, in sé e per sé vuol dire poco e niente.

Perché i libri sono come i liquori, per esempio: spesso per apprezzarne meglio punti di forza e punti deboli occorre farli decantare. E anche perché se un po’ è vero che “ogni scarafone è bello a mamma soja” allora il tuo libro ai tuoi occhi rischierà sempre di apparire un po’ meglio di ciò che è (o un po’ peggio. Non mi pare il tuo caso, caro scrittore anonimo, ma succede).

 

Ho letto che alcuni editori pubblicano subito, mi correggono la bozza e mi stampano il libro. Con poche centinaia di euro me la cavo. Che dici, mi butto? Potrò avere il mio libro cartaceo in tutte le librerie!

Meno male che il turchese mi dona sennò come potrei reggere il mio ruolo in questa storia (no, il Grillo Parlante non voglio proprio farlo!). Puoi dar fiducia al gatto e la volpe, certo. Puoi dar loro le tue monete e affidare alle loro mani, con quelle monete, non solo il loro valore materiale ma anche tutto il sudore che ha versato Geppetto per potertele dare. Sudore che è lo stesso che ha versato quell’artigiano di parole che ti abita dentro e che ha impresso nel ticchettio della tastiera il battito del tuo cuore. Puoi farlo, certo, ma non aspettarti che nasca un albero di monete sonanti.

 

Ma scusa, dici che quelli sono editori a pagamento e non mi conviene. E allora se devo mettermi a pagare l’editor e il grafico non spendo un botto? Non è lo stesso? Anzi, con quell’editore ho pure il mio libro stampato in libreria!

Sei uno scrittore, giusto? Quindi è come se tu avessi in testa una pasticceria di parole. Solo che dopo un po’, si sa, è facile aver voglia di espanderti. E tu hai voglia di espanderti, giusto? Ma non sai bene come fare. Ti hanno detto che alcuni hanno trovato dei soci in affari niente male. Certo, “tante teste, tante sentenze”, quindi avere dei soci in affari (sì, fuor di metafora si sta parlando di editoria tradizionale) vuol dire anche essere pronti a mettersi particolarmente in discussione, a scendere a compromessi (quei compromessi buoni, si spera. Quelli che sono non come lacci emostatici che la vena creativa la bloccano ma come fiocchi che sanciscono una nuova amicizia tra fiumi in piena).

Tu hai voglia di esplorare altre opzioni per aprire la tua bella pasticceria di parole tirandola fuori dalla tua testa. Esplori, esplori, e tra le opzioni spunta questa: dei soci li avrai comunque ma senza lingua. La bocca sulle tue decisioni non la metteranno. Allungheranno “solo” le mani sul tuo guadagno. Anzi, non esattamente. Perché quello che guadagnerai (se guadagnerei) dovrai spartirlo con loro, certo, ma quelli che non vedranno l’ora di sedersi alla tua tavola se il tuo libro appena sfornato dalla tipografia darà come frutto qualche guadagno, sono gli stessi che ora ti chiedono una (lauta) somma non per correggere la tue ricette di scrittura ma per riempire la tua pasticceria mentale di sagome di cartone, di illusioni di letture che resteranno disegni colorati dalle tue speranze.

L’alternativa? Investire nella tua idea sapendo che resterà tua non solo nel male ma anche, e soprattutto, nel bene. Perché con gli investimenti giusti riceverai consigli oculati, critiche costruttive, allaccerai rapporti con gente fantastica che ha dentro montagne là dove tu hai delle voragini e capirai perché è proprio vero che per fare un buon dolce la farina va setacciata e che per fare un buon setaccio serve una buona maglia e che una buona maglia è fatta di buoni intrecci, buoni legami.

Vedrai prendere forma il tuo negozio di parole dolci come bisturi caramellati che rendono le storie al tempo stesso commestibili e oscenamente sviscerate e capirai che quello che hai investito non lo hai investito in una fornitura a vita (anzi, a mesi, ché a vita sarebbe troppo) di elio per il tuo ego. Hai investito per la tua creatura. Non per comprare consensi, per spianarle la strada con false lusinghe ma per far sì che ogni esperto la aiutasse a allenare un muscolo specifico cosicché la tua creatura potesse diventare abbastanza forte da cavarsela da sola.

Grande di spunti e di critiche che spronano, non grassa di complimenti untuosi come Hansel della favola. Perché spesso gli scrittori spennati diventano così: scribacchini la cui vanità viene pompata così che una volta divorati le loro carni siano più gustose.

Allora, secondo te, è meglio se cerco quei collaboratori. E dove li trovo?

Hai mai sentito dire che “chi cerca trova”? In generale è abbastanza vero. Ma se per le strade abbiamo il navigatore, per i prodotti abbiamo i cataloghi, per il cibo abbiamo i depliant, perché non dovremmo chiedere una mano per trovare compagni di s-ventura per un’impresa come la scrittura? Eh, infatti… Ci stiamo lavorando. Tu, intanto, saltella di blog in blog, di profilo social in profilo social, seguendo il filo rosso di un’idea, di una frase, di un’ispirazione. Potresti trovare la tua “X” sulla mappa e fare del tuo libro un vero tesoro.

 

Quindi dici che è meglio il self-publishing dell’editoria a pagamento. Qual è allora, secondo te, il rischio di pubblicare per conto mio e il rischio di pubblicare con un editore a pagamento?

Nessuno ti leggerà. O peggio, qualcuno ti leggerà e ti stroncherà senza pietà. O, peggio ancora, qualcuno ti leggerà e gli piacerà pure il tuo libro e tu dovrai fare i conti con il fatto che la tua idea di quel momento in cui avresti avuto successo non è più un’idea su un momento. È un momento. Un vero momento. E ti farà paura.

Eccoli, sono questi i rischi, riassunti in pillole da mandare giù senza indorarle troppo, di pubblicare, in generale. Quando poi si parla di self-publishing è come se ti mancasse anche l’alibi: non stai pubblicando perché una casa editrice ha creduto in te tanto da proporti un contratto editoriale (sul perché una casa editrice propone o non propone di pubblicare poi ne possiamo parlare).

No, tu stai pubblicando perché tu hai creduto così tanto in te. Insomma, non hai scuse. Sei tu il tutore delle tue parole e se le tue parole si dimostreranno zoppicanti vorrà dire che non avrai fatto bene il tuo lavoro di correttore di passi nelle vite degli altri. I rischi di pubblicare con l’editoria a pagamento? Non ci sono. Perché, in effetti, non so se si tratta esattamente di pubblicare.

 

Sì, ma io di queste cose non ci capisco niente. Come faccio a creare un ebook fatto bene? Come faccio poi a promuoverlo per farlo vendere? Non rischio di non vendere niente?

Intanto, dato che stiamo cercando di spacciarci per scrittori, direi di citare Socrate, che fa sempre la sua figura: con “l’unica cosa che so è di non sapere” non si sbaglia mai. Vedi che alla fine a dar fiducia alle persone queste si rispondono da sole? Alla fine di questo strampalato viaggio tra le fiabe e l’orrore hai capito che no, non puoi fare tutto da solo. Perché di certe cose è sacrosanto tu non ci capisca niente. E sì, rischi di non vendere niente. E ancor prima rischi di non riuscire nemmeno a fare qualcosa che davvero sia definibile ebook. Cosa devi fare? Due domande fa cosa c’è da fare hai dimostrato di saperlo benissimo anche tu.

 

35 pensieri su “Tutto quello che avreste sempre voluto sapere su self publishing e editoria a pagamento…

  1. Sì, ok. Dunque vediamo…. ho pensato una cosa: scrivo un romanzo su una persona che decide di vivere di scrittura, e ci metto tutte le peripezie e le porte in faccia ricevute fino al giorno in cui comincia a vendere. Lo intitolo “perché io credevo in me”
    che senza una minima dose di fiducia in sé stessi non si va da nessuna parte. Nessuno tra quelli che fanno cose che noi vorremmo fare è partito dal presupposto “oh mamma e se poi piaccio? Che paura! ” perché la paura del successo è anche peggio della paura dell’insuccesso. Ma tralasciamo le motivazioni per cui alcuni arrivano e altri a parità di condizioni non arriveranno mai e concentriamoci sul mio romanzo.
    Dunque lo scrivo. Ci posso mettere una notte o dieci anni ma lo scrivo. Ecco è pronto. Nel senso che ho messo l’ultimo punto nell’ultima pagina. E adesso?
    Ecco adesso lo faccio leggere a Monia e a Sam Bruno, che hanno due teste totalmente differenti quanto a gusti e stile narrativo. Quindi avrò consigli e feedback molto precisi e puntuali, così precisi che riceverò perfino un paio di alternative da ognuna di loro su quelle frasi e quei passaggi che non funzionano.
    Ah ma poi sono anche di una pignoleria devastante le due fanciulle, quindi so già ora che i refusi verranno cancellati prima ancora di rimandarmi il manoscritto (ma poi è il caso di chiamarlo ancora monoscritto?). Certo dovrò sorbirmi una lunga filippica su quante H mi sono sfuggite in più o in meno e quanti accenti e lettere maiuscole ho sbagliato, e in fondo ci sarà la frase “comunque te l’ho sistemato io, ma dagli un’occhio, metti che mi sia sfuggito ancora qualcosa” (questa è Monia) e “Adesso è a posto, uff che lavoro, ma sono contenta di averti dato una mano. Però dagli un occhio ancora, magari mi è scappato un accento.” (Questa è Sam)
    Ecco e adesso? Ma niente adesso scrivo un dm ad Alessia (Penny, sì, Penny) e le chiedo di raddrizzarmi la grafica. No no, la copertina, l’immagine di copertina è affar mio: l’ho scelta, anzi l’ho fatta scegliere ad un amico che è un artista. In effetti non l’ha scelta ma ha creato l’opera appositamente per me. Carino vero? Si ma è proprio un amico e mi deve un favore (anche due o tre magari), poi l’ottimizzazione, non so forse è chiedere troppo a Penny che già mi sta ottimizzando il resto ( e so che a lavoro finito da lei riceverò una lunga mail con tutti i dettagli e i tools per eseguire lo stesso lavoro da solo e in fondo ci sarà scritto “no ma poi se hai altro del genere da fare e non te la senti chiama che sono sempre felice di darti una mano”)
    Ecco allora la foto, l’immagine di copertina va rivista da un grafico, uno serio, uno con le palle. ….. Carlotta! Si Carlotta è la persona giusta. Che poi va anche in giro a raccontarlo che sta facendo questa cosa per un libro mio e mi fa Brand un casino.

    Bene cosa mi resta? Ma naturalmente l’occhio definitivo, quello che apporterà una sfumatura o due ma determinanti: Daniele.

    Ora posso pubblicare? No: mi serve una strategia per far conoscere il libro.
    Ah ma qui posso giocarmela con tutti quelli che hanno scelto di darmi una mano e mettere in mano la cosa a qualche esperto di marketing.

    I costi? Beh fin qui sarebbero anche zero, ma vuoi che io lasci a bocca asciutta tutta questa gente? Non se ne parla, però per quanto io possa decidere di essere generoso (e so che con alcuni di loro sarà una battaglia riuscire a pagarli perché rifiuteranno con determinazione) anche mettendo tutto insieme sarò sempre molto al di sotto di quanto avrei speso con un editore a pagamento, e con un prodotto migliore. E so anche che le entrate saranno ben al di sopra del passare tramite un editore tradizionale, che poi mi rovina il libro che come dice Alessandro (Baricco) l’editore ti taglia gli aggettivi. Voi invece no, nessuno dei personaggi qui sopra farebbe uno scempio tale. Ma ve l’immaginate Proust senza i suoi aggettivi? Ecco.

    Quindi il prodotto sarebbe esattamente il mio prodotto, solo ottimizzato.
    Sì lo so, ci guadagno poco, ma con quel poco mi faccio fare una bella traduzione professionale per il mercato più adatto e lo ripropongo su quel mercato. Sempre con Amazon, e sempre a costo zero. E Sempre con la strategia di comunicazione che mi sono fatto impostare dal professionista di cui sopra.

    (E vi ho appena suggerito un paio di idee su come trasformare in soldi le vostre capacità)

    1. In primis grazie per gli spunti che ci hai fornito!
      Cristallino e molto interessante.
      Molto.
      L’unico appunto che mi sento di fare è che tu comunque parti dalla tua pelle, dai tuoi panni. In che senso? Nel senso che tu hai comunque avuto il piacere di conoscere e “frequentare” Sam, Daniele, Penny/Wendy/Alessia, Carlotta (tutta gente che adoro, lo sai) ma non tutti quelli che avrebbero bisogno di una mano possono magare contare su questa rete di relazioni.
      Da qui lo smarrimento.

  2. Bellissimo questo doppio post Monia, complimenti per l’idea e per la chiaccherata con Daniele.

    Ottimo l’intervento di Girardi. È tanto professionale che gli basta dare un’occhiata per centrare il succo commerciale in ogni campo. I suoi spunti sono molto validi. L’unico punto che lui non c’entra, ed è perché non conosce i dettagli del mercato, è che l’ebook in self publishing, rispetto all’editoria tradizionale è un mercato ricco. Offre margini di guadagno molto ampi. Tanto che si potrebbe benissimo vivere di scrittura. Ma so che quando espongo questi argomenti commerciali gli aspiranti scrittori non li comprendono affatto e anzi pensano che vaneggi.

    Ma per fare un esempio di Girardi, e non so se lui rileggerà i commenti, l’internazionalizzazione è un punto cardine (e che sembra fantascienza ai più) di una buona strategia di pubblicazione.
    Per rendere concreto lo spunto di Girardi sul pubblicare in altre lingue, basta seguire questo esempio.
    Prendo il mio romanzo, lo faccio tradurre da un professionista. Il costo potrebbe aggirarsi sui 1.500€ Chiaramente non prenderemo nelle nostre possibilità i traduttore top, ma uno buono e bravo sì.
    Adesso se rivendiamo l’ebook nella lingua X a 5,90€ abbiamo un margine di guadagno di 4€ per ogni ebook venduto.
    In pratica se facciamo un investimento di 1500€ subito per tradurre, possiamo piazzare con Amazon, sul mercato di competenza, il nostro romanzo senza ulteriori costi. Mettiamo inglese. Ecco, basterà soltanto vendere 375 copie con un profitto di 4€ l’una per ripagare il costo di traduzione.
    Solo 375 copie vendute bastano per riprendere il nostro investimento.
    Da quel momento in poi ogni altra vendita sarà solo guadagno. Saremo presenti in un altro mercato, con tutte le potenzialità del caso senza ulteriori investimenti. E questo discorso potrebbe combaciare con una strategia a cascata.
    Esempio: vendo 375 copie in italiano. Prendo questi soldi e anziché metterli in tasca, finanzio la traduzione Inglese. Dalle vendite della traduzione inglese finanzio la traduzione francese, da quella francese… così via. Questo limitato chiaramente alle lingue principali. Inoltre se ho una strategia di marketing efficace la posso replicare trovando partner all’estero che curino la comunicazione del romanzo. Non esco soldi, offro semplicemente una percentuale dei guadagni. Se il tuo progetto è solido, se la strategia di marketing è buona, farà la sua strada anche in altre lingue.

    Oggi le strategie possibili in un mercato globale sono tantissime e portentose. Mai uno scrittore nella storia dell’umanità ha avuto tante possibilità.
    Per questo Monia mi piace aggiungere al tuo intervento con Daniele solo un’idea.
    Il self-publishing ci offre la possibilità di pensare in maniera innovativa, anticonvenzionale, fuori dagli schemi, dove le sperimentazioni, anche a costo zero, sono molteplici.
    Il punto fermo rimane il libro. Deve essere scritto benissimo ed essere avvincente. Se il tuo prodotto è scarso non vai da nessuna parte. Ma se piace, il possibile limite è solo l’ampiezza del nostro orizzonte.

    1. Speravo proprio ti piacesse Marco!
      Sia qui che nel blog di Daniele ho avuto modo di leggere certi tuoi commenti sull’argomento e devo dirti che il tuo punto di vista sull’autopubblicazione mi è sembrato per certi versi illuminante.

      “Il self-publishing ci offre la possibilità di pensare in maniera innovativa, anticonvenzionale, fuori dagli schemi, dove le sperimentazioni, anche a costo zero, sono molteplici.” è uno spunto estremamente interessante. Va ampliato (come il nostro orizzonte) 😉

  3. Sì Marco lo so che la questione finanziaria con Amazon è determinante, conosco le differenze di guadagno ad ogni libro/e-book venduto tra l’appoggiarsi ad un editore e passare per conto proprio da Amazon, ma vedi tu parli di 375 copie. Bene, lo comprendo, il punto è che gli scrittori sono davvero artisti e come tali totalmente avulsi da qualsiasi concetto commerciale. Se per te e me l’idea di 375 copie su un mercato internazionale sono una questione di numeri più che probabili (quanto fa amazon? 1 miliardo di utenti?) per un artista è un concetto non comprensibile di pancia. Razionalmente si, ma non lo sentono di pancia. Poi tu me li vuoi spingere subito a investire 1.500 euro in traduzioni. Non ci sentono da quel lato: per questo ho cercato di suggerire loro, nemmeno tanto velatamente, di creare una sinergia e puntando anche sui nomi adatti ad ogni ruolo. Davvero Marco poi basterebbe poco ed ai primi timidi risultati si risveglierebbe in loro quell’istinto naturale al “migliorare” che permette a te (a me, a mille altri più commerciali come noi) di introdurre il concetto pratico del “ok adesso cominciamo a vendere sul serio”
    Solo che è un po’ complicato con l’artista far passare il messaggio che le sue parole sono un prodotto vendibile. Guarda Monia (per parlare della padrona di casa): vuoi dirmi che un suo lavoro non ha una nicchia così ampia nel mondo da farla diventare un caso editoriale? Sappiamo che può farcela, e anche in tempi relativamente brevi, ma fino a che non sarà lei stessa a crederci, e lo stesso vale per gli altri, faranno poco.
    Una cosa che ho detto spesso (credo a tutti i nominati ma anche a tanti altri) è “se il tuo sogno è vedere i tuoi titoli in libreria e un film tratto da un tuo scritto, la condizione essenziale è che mi dai lo scritto finito. I dettagli tecnici vengono dopo”

    Ora anche se ci mettessimo insieme tu ed io Marco e fossimo pronti ad aiutarli gratis o anche a percentuale minima e per un tempo limitatissimo, il problema è che probabilmente non hanno il libro pronto da metterci in mano. Ma non dico finito in ogni dettaglio grafico, semplicemente pronto per essere ottimizzato.

    1. “gli scrittori sono davvero artisti e come tali totalmente avulsi da qualsiasi concetto commerciale”: Andre, come vedi, Marco fa eccezione! 😀

      (Quanto al “caso editoriale” mi chiedo se diventarlo faccia sentire un po’ come una che è inciampata davanti a tutti. Ma poi tutti le hanno detto “che belle scarpe”).

  4. Un domanda. Parlo di me, ovviamente, come sempre 🙂 e vado nel concreto.
    Ho “il libro pronto da mettervi in mano”, come dice Andrea.
    Della sua qualità sono convinto, ho avuto riscontri positivi da chi l’ha letto ma nessuna casa editrice non a pagamento mi ha ancora proposto la pubblicazione.
    Ho fatto un self publishing autoreferenziale (nel senso che mi piaceva avere il libro finito in mano) ma nessun tipo di promozione, per la quale mi mancano tempo / voglia / capacità / predisposizione.
    Ho però la disponibilità economica per un investimento su di esso, ma diffido totalmente dalle case editrici “a pagamento”.
    Cosa faccio? A chi mi affido? E quali strade seguirà chi se ne vorrà occupare?

    1. Pronto nel senso che hai fatto tutto e l’hai anche stampato. Bello. Io non l’avrei stampato, almeno non come prima cosa, ma comprendo il piacere del prodotto fisico in mano. Ce l’hai una versione digitale? Bene. Se non ce l’hai rimedia. A questo punto ti resta la parte più importante che si divide in due cose principali: 1) scordati l’opera d’arte: il libro è come un frullatore, un prodotto. E come tale va venduto. 2) un buon esperto di marketing, che poi usi sistemi digitali o tradizionali è un problema suo. Quello che posso dirti è che io dai vari esperti di marketing digitale ho ancora da vedere i risultati, mentre un buon ufficio stampa tradizionale ha fatto miracoli. Perché se la distribuzione è uno scherzo grazie ad amazon, tanto in digitale quanto per il prodotto fisico, la parte importante è la produzione. E se hai i soldi per pagarla la promozione, allora diventa relativamente facile trovare chi sa come trasformare il tuo prodotto in un prodotto che le persone vogliono acquistare. Dovrà leggerlo, parlare con te e poi insieme sceglierete il target e la strategia (quindi anche tempi e canali) per promuoverlo, anche in base al budget che sei disposto a mettere sul progetto.

      1. Io ho anche parlato con agenti letterari o presunti tali ma il tutto si risolveva nel pretendere di fare comunque un loro editing a pagamento (a prescindere che io non sono l’ultimo arrivato in materia di editing ma a loro non interessava) prima di “impegnarsi”. Trovarne di agenti validi, Andrea, a chiacchiere son buoni tutti (e se te lo dice un avvocato…). Pure io diffido molto del marketing digitale. Il romanzo l’ho stampato solo per prova, in pochissime copie, non le ho neppure più. Ho la versione digitale editata. E anche una presentazione autorevole per il risvolto di copertina scritta molto tempo fa ma non posso rivelarti da chi, ma molto molto (e lo sarà anche di più in futuro, sai?) 😉

      1. Io credo che i consigli utili siano quelli che possono realmente semplificare la strada a chi scrive e vuole provare a pubblicare. La rete è dispersiva, e chi scrive ed è in cerca di pubblicazione non lo fa (almeno non ancora) per professione, quindi tempo da dedicare alla navigazione in cerca di incontri fortuiti non sempre ne ha. Io vorrei qualcuno che in maniera credibile mi dicesse affidati a me, pensa solo a scrivere, io ti trovo i canali per pubblicare. Un agente letterario 2.0. Altrimenti mi sembra che siamo tanti professori senza cattedra, se chi da consigli è egli stesso uno che cerca di scrivere e pubblicare.

  5. Ho cielo! Mi frulla nelle dita un commento lungo un giorno perché a me son toccate quasi tutte le fasi dell’aspirante scrittore, rimasto tale. Posso dire: questa ce l’ho, ce l’ho, cielo, cielo, cielo, cielo, questa mi manca. E me ne manca una soltanto: quella di riuscirci. A diventare una scrittrice professionista, ossia una che tira a casa la pagnotta scrivendo. E pensare che non sono partita per diventare scrittrice, da piccola volevo fare la guardia forestale.
    Il mio primo libretto è stato pubblicato nel lontano 1992. Non per mie velleità, ma perché una piccola casa editrice locale mi aveva proposto di pubblicare un libro senza che il libro esistesse.
    Sto raccontando una favola? No, è la mia storia di scrittrice per vocazione. Non scrittrice nel senso popolare della parole, ma come una che ha il vizio di scrivere tutto ciò che le passa per la mente e che deve con forza espellere scrivendo per potersene liberare.
    L’ho sempre fatto, da quando ho imparato a scrivere. Era, ed è ancora questione di vita o di morte per me, scrivere. Se non lo faccio la mia mente esplode. E quindi scrivo, bene, male, non lo so, non me lo chiedo. Mi preoccupo soltanto di mantenere il rispetto (questa è l’intenzione) verso l’eventuale lettore quando decido di pubblicare. Naturalmente essendo tutto autoprodotto, il metro è il mio, quindi le misure possono essere totalmente errate per qualunque potenziale consumatore.
    Torno alla prima pubblicazione, avvenuta per caso dopo aver vinto il primo premio in un concorso letterario bandito dall’Associazione Culturale milanese “Il paese che non c’è” sostenuta, all’epoca, da nomi come Vivian Lamarque. Ora credo che l’associazione sia trasferita a Bergamo e, come all’ora, sempre sotto la direzione di Angela Sabella. Il premio era un semplice attestato e il racconto fu pubblicato nel libro che usciva ogni anno per diffondere i progetti culturali e tutte le informazioni relative all’associazione. Proprio in virtù di questo premio fui contattata dalla casa editrice locale che mi propose di pubblicare un libro. Non avendo mai osato un simile piano, scrissi una serie di brevi racconti (unica forma di progetto letterario che mi riesce agevolmente) con i titoli illustrati da un musicista grunge aspirante fumettista. Tiratura 2000 copie, tutte vendute localmente, senza infamia e senza lode. Fine della mia carriera di aspirante scrittrice per caso, ma non della scrittrice per vocazione viscerale. Tant’è che parecchi miei racconti saranno sparsi, negli anni successivi, in varie antologie edite da altre associazioni culturali come Ellin Selae che pubblicò nel 1995 un bellissimo libro, presentato al Salone del libro di Torino: “A cosa servono gli Angeli – 29 racconti belli e uno bellissimo – “ 500 copie numerate, ognuna con una copertina differente dipinta a mano, (cercare per credere).
    Storia recente: nel 2009 ricevo l’invito per partecipare al concorso letterario, della casa editrice Ibiskos Ulivieri di Empoli, “Scrittori per l’Europa”. Vinco il primo premio, con la raccolta di racconti “Storie di un illustratore di coriandoli”, la pubblicazione gratuita dell’opera. Pubblicazione avvenuta, tiratura 50 copie date in omaggio alla vincitrice, ulteriore distribuzione e promozione solo su richiesta e pagamento dell’autrice. Nel 2011 la storia si ripete con il libro: “Evaporata: blog di una donna senza segreti”, vincitore del premio speciale della giuria, probabilmente a questo concorso partecipano solo ciofeche di prima scelta se io vinco sempre. Capito il funzionamento? Sì, capito dopo aver constatato che i miei libri non venivano stampati neppure se espressamente richiesti dai lettori direttamente alla “casa editrice”, che convenienza c’è a stampare un libro per volta?
    Nel frattempo i progetti si accumulano e mi escono altri due libretti dalle zampe: “Leggermente evaporata” e “Storie senza mutande”, che gestisco in tutto e per tutto autonomamente arrivando a una prima deludente auto pubblicazione con “ilmiolibro.it” immediatamente soppressa, e successivamente con la più efficiente Youcanprint dove mi trovo attualmente sia con il cartaceo sia con l’e-book. Purtroppo mi manca tutto ciò che serve per rendere un testo degno di “tentare” la trasformazione in libro: editing, revisione, prefazione, sinossi, quarta di copertina, promozione e distribuzione gestiti da qualcuno che non sia la sottoscritta (sarebbe bello lasciarmi soltanto lo sviluppo dell’idea e la stesura della bozza). Comunque ci provo, costa poco e le spese fino ad ora sono tornate tutte, mi diverto, mi occupo e mi preoccupo, soprattutto adesso che sono disoccupata a tempo pieno.
    In questo momento ho in mano altri due progetti pronti per andare da qualche parte. Ancora non so dove poiché una nuova casa editrice locale, (spero seria poiché dietro c’è un nome molto importante e famoso in campo giornalistico/letterario), ha chiesto in visione i manoscritti. Mi accingo a consegnarli giusto per cogliere un’opportunità inattesa, ma non mi faccio illusioni perché la mia scrittura non è commerciale e, forse, troppo stravagante per il pubblico italiano che, comunque, è più incline a leggere romanzi e non racconti.
    Testimonianza-cronaca di un’amante della parola scritta.
    Scritto al volo e non riletto. Devo scappare. 😀

    1. Se stai leggendo e non sei Nadia/Evaporata e non hai letto il suo commento fai salire un po’ su gli occhi e leggilo. Perché le storie, quelle vere, quelle che le tiri fuori dalle loro incubatrici con le giostrine sopra ancora palpitanti, meritano sempre di essere seppellite di sguardi.

      Se sei la mia cara Nadia… Tu hai solo bisogno di un piano, secondo me.
      (Oh, no un pianoforte. Ché le parole sai farle suonare benissimo da sola 😉 )

      1. Ma che bello è vedere scritto “la mia cara Nadia”. Per questa settimana sono a posto. Faccio 18 giri (di gioia) intorno al tavolo perché a me ‘ste piccole cose son quelle che mi fanno venire il magone, ma quello bello che mi scalda anche se abito nel profondo nord e oggi solo nebbia bagnata m’è toccata. :-*
        Mi viene voglia di farir delle proposte.

  6. avete mai letto dei romanzi autopubblicati? io lo faccio ogni giorno, spulciando dalle classifiche di amazon. i risultati sono raccolti in questo blog: robadaself.blogspot.com
    spero che dissuada molti dall’autopubblicarsi senza consapevolezza.

    1. Ciao Silvia, innanzitutto benvenuta!
      Sono contenta che nonostante il materiale non propriamente eccellente che dà spunto al tuo blog tu non abbia ceduto alle generalizzazioni: non vanno demonizzati i libri autopubblicati perché l’importante è la consapevolezza.
      Un bel libro è un bel libro.
      Le vie scelte per la pubblicazione sono “solo” (tra mille virgolette) un mezzo.
      Che può essere scelto per le ragioni più svariate.

    1. Ancora meglio CheLibro: l’ultima twitterata è arrivata praticamente in contemporanea alla stesura dei due post. Non è una bellissima coincidenza?
      E mi sembra anche il segno che su questo argomento c’è taaanto da dire!
      (Infatti noi non manchiamo di imbrattare la twittsfera con le nostre considerazioni! :D)

      P.S. Benvenuti anche qui ragazzi!

  7. Non sapevo di essere stata chiamata in causa da Andrea, ma eccomi qui per puro caso. O forse no, questione di destini incrociati. Bell’articolo Monia (devo ancora leggere il tuo doppio-con-marito-non-ufficializzato Daniele, ma rimedio nel pomeriggio!). Secondo me il principio è esattamente quello di cui parlava Andrea in risposta a Marco: noi stiamo a parlare di scrittura senza avere romanzi pronti da spedire in mezzo mondo. A volte penso che siamo più bravi a raccontarci storie che a raccontarle agli altri, dico sul serio. A parte questo, credo che il succo sia già stato ripreso da Andrea in mille modi: l’autore/scrittore non sa promuoversi (un po’ come il freelance) ed entrambi si sentono più artisti che manovali. Per loro, basta pubblicare. Non è un caso che le case editrici a pagamento abbiano vita (più o meno) lunga: l’autore che vede il suo romanzo pubblicato, stampato, patinato, è già felice. Vende? Non vende? Può dire di essere stato pubblicato. Tu, invece, ti sei autoprodotto. Su Amazon, poi, un market place! Occorre distinguere l’Autore che scrive per amore, e l’Autore che scrive per vanità. L’Indie accanito, quello che se gli parli del mainstream e gli suggerisci di scrivere storie di zombie storce il naso. Quello che ti schifa gli Harmony, però ha amato “La solitudine dei numeri primi” (e io non trovo differenza tra i due, ecco). Non tutti sono gli autori ideali di cui hai parlato tu, secondo me. Parti dal presupposto che chi scrive ami la condivisione e sia deciso a ottimizzarsi con i nuovi mezzi: non è così semplice. L’editoria tradizionale è uno status symbol che – chi già vi si trova all’interno – desidera rimanga tale. Hai letto l’intervista a Wylie? (ti passo il link al mio sito nel caso tu non l’abbia vista, ma ti fai un’idea di quel che c’è là fuori -> http://www.alessiasavi.com/wylie-distruggera-amazon/) La dice molto lunga sullo stato in cui versa l’editoria mondiale.
    Il digitale?
    Per me resta il futuro, perché sarà sempre più a portata di tutti, anche di adulti che non sanno come si scarica un’App sullo smartphone. Il fatto è, che con l’app, ci leggi anche un romanzo. Se non te lo sei portato da casa, devi invece cercare una libreria e acquistarlo.
    Al quintuplo del prezzo.
    Cosa conviene?
    A tutti il digitale. Ma cambiare abitudini è difficile.
    E io ho sproloquiato senza sosta andando pure fuori tema, scusami!

  8. Ciao a tutti.. dopo aver passato quasi un’ora a leggere questo bellissimo articolo e i tantissimi commenti anche io voglio lasciare il mio. Intanto faccio i miei complimenti agli autori per l’originalità con la quale sono riusciti a scrivere il pezzo. Credo che ognuno di noi in qualche modo si sia un po’ immedesimato.
    Secondo me però c’è una bella differenza tra Self publishing e Print-on-Demand. Pubblicare un libro in self-publishing è un’attività poco costosa, in cui l’autore può decidere di volta in volta se promuovere il proprio libro pagando o farlo da sè. Io personalmente ho pubblicato una mia opera sul sito ilmiolibro.it, e mi sono trovata molto bene. Non tanto per il rapporto qualità prezzo (cosa che si può trovare anche in tante altre piattaforme di self-publishing) ma soprattutto per la community che ti consente immediatamente un confronto con i lettori. Quando direttamente nella tua mail personale iniziano ad arrivarti commenti e recensioni dei vari autori o lettori ti senti più soddisfatto rispetto a quando ti arrivano le copie del tuo libro direttamente a casa. Volevo chiedere a @evaporata il motivo per il quale invece la sua esperienza è stata così negativa.
    Un saluto a tutti e a presto, Giulia

    1. Benvenuta Giulia!
      Pagare per farsi pubblicare e autopubblicarsi sono sicuramente due pratiche differenti, esatto.
      Sentire più campane è sempre interessante, spero quindi vorrai spesso arricchire Calamo con le tue esperienze.
      A presto!

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