Come NON (farsi infettare dal sogno di) diventare scrittore

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Quando ti chiedono di intervenire con la tua cassetta di pronto soccorso

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Non puoi che intervenire subito. Raccontando come, secondo te, si può fare a non farsi contagiare dalla voglia di buttare giù storie su storie e magari pubblicare un libro e diventare uno scrittore.

Evita il contatto

Non toccare mai nulla, davvero. Limitati, al massimo, a sfiorare appena la superficie delle cose e mai abbastanza a lungo da sentirne davvero la consistenza, apprezzarne col tatto la fattura. Perché la scelta più incosciente che tu possa fare è toccare e lasciarti toccare da ciò che ti circonda. Vuoi salvarti dal male di scrivere? Se vuoi spegnere quello strano marchingegno che ti porta a macinare km di carta seminando parole di libri che non si sa se nasceranno allora devi tagliare tutti i fili, tutte le connessioni.

Decapitare le spine. Come le spine dei fiori. Per non farti sbocciare mai più in testa la malsana idea di metterti a scrivere un libro e, perché no, perfino diventare uno scrittore.

Decapitale le spine. Come le spine che abbiamo nella nostra pelle. Sì, abbiamo delle spine nella pelle. In uno strato dell’epidermide ci sono degli speciali ponti tra le cellule. Per non rischiare di lasciarti contagiare dalla passione per la scrittura devi tagliare la testa al toro e evitare a monte il problema della scrittura: facendo andare a monte sin da subito ogni tua velleità letteraria.

L’elettricità non è altro che un moto di cariche in un conduttore. Le parole sono come quelle cariche e possono dare la carica a quel motore generatore di storie che alberga dentro tutte le persone. Per questo occorre staccare il contatore. Smettere di lasciare che le cose contino per noi qualcosa. Significa questo non toccare e non farsi toccare.

Serrare le palpebre di fronte a labbra che si schiudono per sussurrare perché anche dal contatto con un solo suono può scoccare la scintilla e si può finire col ritrovarsi innamorati delle parole.

Ritrarre le mani di fronte alle strette e restringere la mente e poi lavarsele, quelle mani negate, continuamente, per cancellare dalle dita il ricordo di qualsiasi indice di libro anche solo vagheggiato.

Vaccinati

Quando ci si vaccina spesso ci si lascia inoculare una versione attenuata di quel virus da cui ci si vuole difendere. Ecco, vaccinarti dalla febbre d’autore è forse una delle scelte più oculate che tu possa fare per non “cadere in amore” per la scrittura o, peggio ancora, scivolare addirittura nel baratro dell’aspirante scrittore.

Come vaccinarti dal male di scrivere? Scegliendo una versione edulcorata dei tuoi sogni. Perché i sogni sono difficili, pieni di spigoli. Se somigliano a un cielo stellato più che hai quello che hai sopra la testa possono somigliare all’effetto che può creare sulla tua pelle la varicella.

Vorresti scrivere un libro? Se proprio non riesci a estirpare la tua voglia di scrivere limitati a scrivere un diario. Naturalmente non dimenticarti di guardarlo ogni sera, dopo averne riempito le pagine, sospirando e rimuginando su quanto sia solo colpa del (inserire capro espiatorio a caso) se il tuo talento non vedrà mai la luce.

Non aspirare

Per te scrivere è come respirare perché la scrittura è il tuo ossigeno? Male, molto male. Se però quando impugni la penna ti sembra sempre di finire con l’essere tutto fumo e niente arrosto forse per te una speranza ancora c’è. Dato che tanto lo sai che i tuoi sogni andranno in fumo non ti resta che una cosa da fare: non aspirare.

Perché se davvero vuoi salvarti da una storia tremenda e dolcissima con la scrittura, da un rapporto sublime e controverso con ogni capoverso che ti troverai, per scelta e per necessità a scrivere, andando ogni volta un po’ più a fondo del tuo calamo scrittorio, non devi nutrire aspirazioni.

Non berti la storia che la scrittura cura

Te la sei bevuta davvero la storia che la scrittura cura? Non dovresti. Perché la scrittura per essere cura prima o poi deve decidesi a diventare sicura. Solo così uno scritto al giorno può davvero togliere il medico di torno. Ma tu vuoi davvero lasciare che le parole ti crescano dentro come parassiti endocellulari obbligati fino a farti esplodere dentro un desiderio irrefrenabile di scrivere? Se è un rischio che non sei disposto a correre non farti inebriare dalle belle trame.

E tu cosa vuoi fare? Vuoi evitare a tutti i costi di farti infettare dal germe della scrittura?

30 pensieri su “Come NON (farsi infettare dal sogno di) diventare scrittore

  1. Io sono infettato, ormai, e non voglio guarire. Non capisco però perché quella Lidia voglia guarire, prevenire anzi la “malattia dello scrivere”.

    Scrivere è dentro di noi, come qualsiasi arte. È l’arte a scegliere l’artista e non il contrario. E l’arte va assecondata, perché – per usare le parole di Asimov – è come il respiro: non possiamo farne a meno.

    1. Riguardo Lidia… Ti ha già risposto Lidia 🙂

      Mi piace tanto l’idea che sia “l’arte a scegliere l’artista” ma una domanda sorge spontanea: secondo te un artista può avere dubbi su quale sia l’arte che lo ha scelto? E se sì come scioglierli?

      1. Certo che può avere dubbi. Come scioglierli? Basta vedere in quale arte riesce meglio e quale l’attira di più.

        Io scrivo, ma ho anche disegnato e fatto qualche piccola scultura in legno e terracotta. Quale delle 3 mi piace di più? Con le sculture ho chiuso da anni e non so se riprenderò mai.

        Col disegno ogni tanto mi prudono le mani e forse riprenderò.

        La scrittura è con me ogni giorno, invece.

      2. Leggendo i commenti mi convinco sempre più di una cosa: più che sforzarsi di diventare qualcosa bisognerebbe preoccuparsi di diventare qualcuno. Qualcuno con cui ci piacerebbe stare, possibilmente.
        Perché nessuno (penso e spero) è “solo” un avvocato o un autista o un astronauta.

        Siamo ciò che facciamo, sì, ma anche come lo facciamo e soprattutto siamo ciò che ci piace fare.
        Ma ai bambini chiediamo “cosa vuoi fare da grande?” prima ancora di chiederci e chiedere loro cosa, semplicemente, li renda felici fare.

        Quando dici “basta vedere in quale arte riesce meglio e quale l’attira di più” mi fai pensare a quanto sia importante sperimentare prima ancora di incasellarsi in qualche etichetta. Che molto probabilmente finirà col starci stretta.

        (Divagazioni causate dall’eccessiva aspirazione di sostanza tossica nota come “scrittura” 🙂 )

  2. Ho pubblicato il mio primo libro nel 1992 e, dopo una lunga gausa ne ho pubblicati altri quattro. Non mi sento contagiata e non credo di buttare nulla poiché, benché non sia una scrittrice, i miei libri sono apprezzati nonostante le case editrici non trovino interesse nei miei confronti giacché, a loro dire, il racconto breve non ha mercato in Italia.

    1. Benvenuta Nadia!
      Ti ringrazio per aver condiviso qui la tua esperienza.
      Posso farti qualche domanda?
      1) La lunga pausa è stata lunga pausa dalla scrittura o solo dalla pubblicazione?
      2) Perché pensi di non essere una scrittrice?
      3) Secondo te come si potrebbe incentivare il mercato del racconto breve in Italia?

      1. Grazie a te Monia. Rispondo volentieri alle tue domande.
        Ho iniziato a scrivere da quando ho imparato alle elementari e non ho mai più smesso. Da piccola scrivevo pensieri su foglietti che poi nascondevo e non trovavo più. Scrivevo ovunque anche sui muri. Poi sono arrivati i quaderni, le agende, ogni foglio bianco inutilizzato per me era ed è uno spazio in cui liberare pensieri di ogni forma e colore, soprattutto quelli bui che spesso stancano le mie notti dentro il sonno irrequieto.

        Per “scrittrice” intendo persona che campa vivendo con i proventi della propria opera di scrittura. Questa è la definizione tecnica che i più danno alla parola. In questo senso non sono “scrittrice”. La sono in tutti gli altri sensi, come passione, sofferenza, amore, gioia da comunicare e condividere.

        I “mercanti” di libri i Italia sono timorosi, e affidano i loro marchi solo ed esclusivamente a “chiunque” renda soldi e basta.
        Tutto il resto per loro non ha importanza, non danno possibilità e nessuno a meno che non sia supportato o presentato da chi è già dentro la macchina per fare soldi.
        Nel 1992 vinsi un premio lettererio indetto da un’associazione culturale milanese. Per questo motivo una piccola casa editrice locale, che eveva la necessità di pubblicare uno scrittore esordiente, pubblicò il mio primo libro (2000 copie che mi vennero consegnate col compito di venderle e dare loro tutto il ricavato).
        Con quel libretto, che conteneva 20 racconti in 60 pagine, feci il tour delle case editrici del nord Italia (quelle medio-piccole, non le grandi) per cercare di pubblicare nuovi racconti.
        L’unica risposta ricevuta fu la seguente: “Sei bravissima, hai del talento. Però ci sono tre cose che non ci permettono di investire su di te: sei donna, sei italiana e sei esordiente”.
        Ora deduci il motivo per cui sono stata così tanto tempo senza pubblicare altro.
        Nel 2009 ho ricevuto l’invito per partecipare ad un premio letterario, ho vinto, il mio libro è stato pubblicato (gratuitamente) da una tipografia travestita da casa editrice. Dopo la pubblicazione il ibro non è stato distribuito né promosso, ma solo inserito nel “ricco” catalogo di questo editore. Mi sono state regalate 50 copie e per ottenerne altre avrei dovuto pagare e consegnarle personalmente alle librerie perché il “distributore” ha un costo troppo alto.
        Ora mi avvalgo del self publishing per i miei libretti. Sono iscritta alla SIAE come autrice di testi ed ho registrato “Evaporata” come nome d’arte e pseudonimo. Scrivo, studio le copertine, impagino, ho inventato un logo personale che appare in ogni pubblicazione.
        Ho quattro libri disponibili sia in formato cartaceo sia eBook in tutti i siti di vendita libri on-line, compresi Amazon, Kindle, ecc.
        Li lascio al loro destino. Se qualcuno troverà interessante ciò che scrivo magari riuscirò a vendere e farmi conoscere. In caso contrario i mieri pensieri e le mie storie saranno sparse al vento del web dove troveranno pace e libertà.

        Grazie per lo spazio che “mi sono presa” sul tuo sito. 😀

  3. Io non ne vengo più fuori. Ogni 4 anni chiudo un romanzo (2 anni di scrittura e due di riletture, riscritture, valultazioni ed editing) e in questo perioso ne ho tre aperti. Uno perché mi sono dato alla pazza gioia di partecipare al campnanowrimo che impone la scrittura di una romanzo/novella/racconto in 30 giorni, un’altro perché partecipai a novembre al NaNoWriMo che impone in un mese almeno 50 mila parole e il terzo che è il primo in lista perché il romanzo pubblicato in precedenza si prestava a evidenziare la storia di un personaggio a cui (senza saperlo) mi ero legato mentre scrivevo “Le parole confondono”. Nei prossimi mesi si vedrà quale si concluderà prima 🙂 . Pazzesco, no?

    1. Al “io non ne vengo più fuori” mi avevi già conquistata, Giovanni 🙂 (benvenuto!)
      La scrittura di un romanzo/novella/racconto in 30 giorni mi sembra poi così interessante…

  4. La mia era solo una curiosità. Ormai anch’io sono piacevolmente infetta. Una malata terminale, ma non cerco una cura e non la voglio. Semplicemente vedo altre persone, molto vicine a me, che si stanno cimentando nella scrittura e, ogni tanto, penso a loro e al loro futuro proprio come penso al mio. Io vivo di sogni nel cassetto che non voglio lasciare tali, quindi mi chiedo se loro sono davvero disposti a lottare per i propri sogni. Rischiare di essere coinvolti anima e corpo (mani e dita in particolare) da una forza che poi ti trascina sempre più. Qualcosa che, nel bene e nel male, ti scava dentro lasciandoti un segno indelebile come solo le parole sono in grado di fare. Un segno dolce e caro oppure tormentoso, dipende dai punti di vista.
    Non voglio concretamente prevenire la “malattia dello scrivere”, andrei contro la natura umana. Voglio solo evidenziare il fatto che ogni arte, come ogni artista, può avere aspetti sia positivi che negativi. Spetta solo a noi lavorare su quelli che preferiamo.
    Ad ogni modo, Monia, ciò che hai scritto mi ha fatto pensare ancora di più alla mia passione per la scrittura.
    “Smettere di lasciare che le cose contino per noi qualcosa. Significa questo non toccare e non farsi toccare.” Penso di non esserne in grado. Non posso non lasciarmi coinvolgere perché toccare e farsi toccare sostanzialmente significa Essere Vivi. La scrittura per me è vita, la cosa migliore che c’è!
    Buona giornata.

    1. Io vivo di sogni nel cassetto che non voglio lasciare tali

      Questa frase a Calamo piace tanto tanto, sai Lidia?
      Il tuo tweet è stato la scintilla di questo post e questo commento è benzina di qualità sopraffina.
      Grazie!

  5. L’essere scrittori è una condizione dell’essere. È come… l’omosessualità 😀
    Non è qualcosa che arriva dall’esterno, non è una “malattia” da cui ci si può/deve vaccinare.
    Scrittori si nasce. Punto.
    Poi lo si diventa anche, certo. Dipende dal tipo di ascolto che noi vogliamo dare a questo richiamo della natura: vogliamo assecondarlo oppure ignorarlo? Vogliamo vivere una vita mutilata, fatta di timbrature in ufficio, oppure vogliamo scegliere di essere ciò che siamo, semplicemente, e studiare per realizzare questo scopo nel modo migliore?
    Uno scrittore resta tale anche quando non scrive?
    Questa è una domanda da un milione di dollari 😉

  6. Sembra di guardarmi (o meglio, leggermi) allo specchio.

    Io sfioro la psicosi: scrivo per otto blog diversi e apro sempre nuove collaborazioni, puntualmente non trovando il tempo di sfornare articoli per il mio blog o di portare a termine uno dei (troppi) romanzi lasciati a riposare nell’hard disk.
    Mi sono specializzata in racconti brevi, quando il mio sogno è scrivere una trilogia da cinquecento pagine a volume.
    Mi sono specializzata nella stesura di articoli per il web marketing, quando vorrei soltanto tenere in vita un blog personale scrivendoci ogni giorno interventi chilometrici senza keyword, alla faccia di Google e della SEO.
    Non riesco a smettere di scrivere, ma ho paura di scrivere come e quanto vorrei.

    A volte la chiamo pigrizia. Ma sento di non aver ancora trovato la definizione giusta e, quindi, la mia diagnosi definitiva (dottoressa, mi hai contagiato! :D)

    Grazie per quest’articolo Monia, e soprattutto per gli spunti di riflessione che ne derivano.

    1. Benvenuta Susanna-Leonardo (dato che ti leggi allo specchio e quindi al contrario 😉 )

      Io sfioro la psicosi: scrivo per otto blog diversi e apro sempre nuove collaborazioni

      Se è vero che “l’unica misura dell’amore è amare senza misura” penso questa frase sia particolarmente vera quando si parla dell’amore per le proprie passioni. E tu, Susanna, ne sei prova! 😀

      Mentre tu cerchi di non guarire mai noi qui ci immaginiamo già la tua trilogia da 500 pagine a volume, in cui ogni volume è composto da una miriade di racconti brevi come in un meraviglioso mosaico e ci godiamo i tuoi articoli per il web marketing che funzionano proprio perché scritti da qualcuno che sa e ama scrivere anche alla faccia di SEO e Google.

      Grazie a te per aver lasciato su questo blog una bellissima traccia!

  7. Sì, anche per me è meglio preoccuparsi di diventare qualcuno, che qualcosa.

    Forse i bambini non potranno capire una domanda come “Cosa ti renderebbe felice fare da grande?”, perché il loro mondo è ancora ristretto, la loro mente è ancora in sviluppo, e quindi il qualcosa diventa più immediato del qualcuno.

    Però credo che in quel qualcosa ci sia anche l’essere felici. Io volevo fare l’astronauta perché mi piaceva l’idea di viaggiare nello spazio e visitare altri pianeti.

    Sperimentare è giusto, altrimenti non capisci a intuito cosa ti può piacere o meno.

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