Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi

voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi

Se c’è una cosa che mi piace della con-divisione è che, a dispetto del nome, non divide affatto. La condivisione unisce. Unisce perché fa sentire le persone intimamente connesse come fiori cresciuti nella stessa aiuola. Fiori che, per quanto mani diverse potranno raccoglierli e nastri differenti tenerli legati in improbabili mazzi colorati, resteranno per sempre in qualche modo legati. Gli uni agli altri.

Mentre scrivo penso a Truffaut e ai suoi 400 colpi. E penso che, in questo colpo di testa con cui ho deciso di pubblicare l’impubblicabile, di dare voce al più ostinato dei silenzi, ho dato vita alla mia personalissima operazione di ribellione. A colpi di 500 parole.

Ti spiego: tu adesso leggerai lo scritto in assoluto più vecchio (ergo per antonomasia più adorabilmente imbarazzante) che ho trovato sul mio pc. Insomma, ti sto per fare una confidenza. Anzi, quasi una confessione.

Quindi qual è, tra le tante cose che potresti fare, per reazione, la migliore? Naturalmente darmi pan per focaccia e, in tutta risposta a questo mio perdere (del tutto) la faccia pubblicare ovunque tu voglia, spedire in cielo con uno striscione, affiggere su un cartellone, qualcosa scritto da te. Un racconto intero o, come in questo caso, solo un incipit. 500 parole mandate alle Termopili in sacrificio per noi. Affinché poi ci si senta rigenerati come dopo due giorni alle terme.

La mattina mi sorprende come una promessa imprevedibilmente mantenuta, come qualcosa in cui non avevo più la forza di sperare. Ma nemmeno il coraggio necessario per smettere di farlo. Vedo bagni di luce. Dietro il sonno sempre sveglio dei miei occhi sempre chiusi nel rimanere aperti. Inondazioni. Sento naufragi su isole. Piene di gente.

Il sole, invece, filtra a gocce. Arriva e subito cola via. Non c’è nulla di ruvido sulla mia pelle che possa trattenerlo. Nessun attrito che mi consenta almeno di rallentare la sua corsa. Solo tela grezza e grigia e ispida al tatto. Perché? “Scire Nefas”. Che vuol dire un milione di cose. Ma tu devi scegliere. Devi sempre scegliere e fare la scelta migliore.

È peccato,è impossibile. Non è lecito. Non ci è permesso,non ci è concesso. Da chi poi? Forse da quelli che mi hanno portata in una stanza bianca tra tante stanze bianche in un edificio bianco sotto un cielo bianco. Un orizzonte così chiaro, un bagliore così leggero che per un attimo ho scordato dove sono. E dove ero. Ho avuto il mio giorno da capro espiatorio.

Ma solo dopo, sotto il tocco di mani cieche, sono stata assunta in questo finto e al gusto di morfina paradiso. Che è come il futuro : tutti ne parlano bene ma nessuno vuole andarci. Saluto lo specchio dietro le pupille. Soffiando contro le lenzuola il mio rancore e cadendo ad ogni soffio di candore. Questo specchio contro cui urlare nell’unico modo in cui ti è consentito. Senza voce.

È rimasta annodata. È secca ormai. Sono terra arida e brulla. E tutto è aspro e doloroso. Vorrei romperlo, questo specchio. Per sentirne lo squillo. Io che conosco solo tonfi. Perché quando la sganci, l’anima, fa un rumore sordo. Come stappare una bottiglia. Solo che io brindo sempre e solo ai miei personalissimi funerali.

Nello specchio posso vedere il piglio strano che prende il mio viso. Lo sgomento prima che venga strofinato via. Sono nutrita a forza in un corpo che giace. Dove sono finiti quei sogni così vividi? Dov’è il mio giardino fiorito d’aprile? Il sole continua a giocare. Ma io non posso prendervi parte. Io non c’entro. Gli altri non c’entrano. Gli altri sono solo occhi vacui. Gli altri sono solo mani fredde. Gli altri sono solo giudizi tracciati sulla sabbia. Gli altri sono solo gli altri. Gli altri non c’entrano. Mai.

Le parole sono solo altri attimi di gelo. Chiuse in quel posto in fondo al cuore in cui fa freddo. Tra la terra di smalto celeste e l’acqua di brina di cristallo. In quel male che non si cura mai. Che non si sana neppure con i baci. Nelle ferite che si rimarginano a fatica.

Esistono due tipi di reclusioni: quelle per odio e quelle per amore. Alle prime puoi provare a ribellarti. Puoi mordere a sangue la vita fino a marchiarla. Fino a farla tua. Puoi tentare di divincolarti dalla presa dei tuoi aguzzini rinchiusi dietro specchi. Puoi lottare con lingue di fuoco che diventano tentacoli umidi e freddi. Altrimenti, se è al secondo genere che la tua prigionia appartiene, puoi solo accettarla con quel fare malinconico degli antichi nobili decaduti.

Non sono trattenuta qui controvoglia. Ma per quell’eccesso di coscienza, consapevolezza, che rende folle la volontà. Meglio l’oggetto compiuto, piacevole o deforme che sia, o lo stadio in fieri ancora decorato di possibilità? Non è vero che odio la vita. Semmai la amo troppo. Non avrei mai voluto rischiare di sciuparla con il mio modo maldestro di viverla.

39 pensieri su “Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi

  1. Il racconto, se scritto bene, è arte, ma forse non confidenza.
    Intesa come tale, la confidenza deve parlare dell’intimo.
    E’ un dare fiducia. Con-fidare, come con-dividere.
    E niente meglio della poesia svela noi stessi agli altri.
    In questo caso, meno di 500 e meno di 300 parole, non sarà il sacrificio delle Termopili. Rifacendomi al Far west del tuo precedente post, sarà Fort Alamo.
    Una poesia di un tempo lontano, un gioco di parole intitolato…

    UN FILO DI VENTO
    Smoke on the water
    Fum(m)o sul mare. A Ravello.
    Di fronte un imperfetto orizzonte
    declinavo in più forme il silenzio,
    fra un gelato alla carta
    (senza dubbio di cuori)
    e la tua veste leggera
    intessuta di fiori
    solamente per rima.
    Avremmo fatto certo prima
    a parlare. Degli altri,
    che di noi è da sempre un’impresa.
    Uno sguardo d’intesa
    e sorrido contento.
    Dal mare una brezza,
    per legarci,
    un filo divento.

    1. Cos’è la poesia per te, Glaurito?
      Non è forse il carattere più intimo di uno scritto il metro della sua poeticità, ancor più che la metrica?

      Grazie per aver condiviso qui questo pezzo di delicata bellezza.

  2. Per essere uno scritto molto vecchio – ma vecchio quanto? – la scrittura dimostra una bella maturità. C’è padronanza del linguaggio e un gioco con le parole che sottolinea come tu riesca a creare connessioni fra concetti anche distanti fra loro.

    E c’è sensibilità. Il testo – come tu hai detto, è un incipit – è un insieme di pensieri intimi e profondi che, penso anch’io, possano essere sviluppati in una storia concreta.

    Nell’attesa di leggere incipit o perfino storie complete più recenti, ti lascio citando il brano forse più bello:

    “Meglio l’oggetto compiuto, piacevole o deforme che sia, o lo stadio in fieri ancora decorato di possibilità?”

    Meglio, dico io, l’oggetto compiuto e decorato di possibilità, che sicuramente puoi confezionare per i lettori.

    1. Vecchio… Di cinque o sei anni.

      Nell’attesa di leggere incipit o perfino storie complete più recenti, ti lascio citando il brano forse più bello:

      “Meglio l’oggetto compiuto, piacevole o deforme che sia, o lo stadio in fieri ancora decorato di possibilità?”
      Meglio, dico io, l’oggetto compiuto e decorato di possibilità, che sicuramente puoi confezionare per i lettori.

      Splendido il brano “rimaneggiato” da te: del resto tu te ne intendi di lettori affezionati ai tuoi testi confezionati per loro, no? 🙂

      1. 5 o 6 è tanto tempo. Hai continuato a scrivere nel frattempo?

        Non me ne intendo, no, diciamo che io confeziono testi senza affettazione e se i lettori s’affezionano, allora l’effetto è come un confetto 😀

      2. Sì, ma il più delle volte ciò che scrivo poi lo cancello 🙂
        (E quando il mio pc ha optato per un harakiri improvviso ciò che avevo salvato diciamo che… Non si è salvato).

        Non me ne intendo, no, diciamo che io confeziono testi senza affettazione e se i lettori s’affezionano, allora l’effetto è come un confetto

        L’effetto è un confetto perché si celebra il matrimonio perfetto tra l’effetto che avresti voluto ottenere e quello che ottieni? 😀

      3. Mai cancellare quello che scrivi! 😀
        E comprati un hard disk esterno, così è più sicuro che salvi i dati.

        No, non credo ci sia ancora un matrimonio perfetto. Diciamo più un… flirt 😀

      4. Sai che amo le “parole astruse” ma il termine backup è proprio qualcosa che non vuole entrarmi in testa!
        Ma passiamo alle cose serie: dici che ancora, più che di matrimonio, si possa parlare di flirt. Ma, dimmi un po’, questo ti piace o ti dis-piace? Mi spiego meglio: se ancora è “solo un flirt” in un certo senso è come se tu ti sentissi più leggero perché pensi i lettori si aspettino meno da te?

      5. Dico che è un flirt perché, anche se ho visto apprezzamenti ai racconti che ho pubblicato nel blog – anche critiche, ovvio, ma sono state per fortuna di meno – il matrimonio ci potrà essere solo quando pubblicherò qualcosa a pagamento, o per conto mio o con un editore.

        Allora si vede veramente se l’apprezzamento è solido: gente disposta a spendere soldi per leggerti è un chiaro segno che sei apprezzato e stimato, no?

      6. “il matrimonio ci potrà essere solo quando pubblicherò qualcosa a pagamento, o per conto mio o con un editore.”
        Chiamo a testimoniare il post di PennaBlu pubblicato in data odierna (17 aprile 2014) grazie al quale ho scoperto che Daniele Imperi ha già pubblicato! 😀

  3. Credo che raramente il racconto nasca di getto, la poesia spesso sì.
    Solo in questo senso, della maggiore spontaneità, ravviso la maggiore “intimità” e dunque (per quanto mi riguarda) più ritrosia a pubblicarla rispetto a qualsiasi altra forma di scrittura, pur se ugualmente descrittiva di situazioni latu sensu personali.
    Mi fa piacere che tu l’abbia apprezzata.
    Era il posto giusto dove condividerla.

    Il tuo scritto…
    Anche tu hai declinato sotto più forme il silenzio.
    E che siano passati cinque o sei anni, credimi, non sembra affatto.

    P.S. Ma nessun altro lettore segue il mio esempio? 🙂

  4. Ok…non prendetemi in giro.

    Dovevo prendere l’autobus verso il pomeriggio e la cosa mi seccava molto: erano giorni di traffico intenso e molto probabilmente sarei giunto a casa più tardi del solito. Che noia.
    Arrivai in piazza; l’autobus sarebbe partito entro 5 minuti e quindi mi affrettai per salirvi. Feci il biglietto e mi sedetti. Salì con me una ragazza con un cappotto nero e una grossa borsa che si sedette alla fila alla mia sinistra, un posto più indietro rispetto al mio. Quella ragazza mi colpì subito: era molto carina, ma l’espressione del suo viso era profondamente triste. Riuscii ad accorgermi dei suoi occhi lucidi e un po’ arrossati. Come mai aveva pianto? Perché era così triste? Non si poteva girare verso di me e sorridermi?
    Intanto l’autobus era partito e s’era riempito. Qualcun altro s’era seduto davanti a lei, che lei osservava col broncio. Vidi che iniziò a mandare sms. Quando giungevano le risposte, suppongo, la sua espressione per un microsecondo cambiava e sembrava tornare normale (ed io che ne sapevo che quella fosse la sua espressione “normale”?): la tristezza sembrava andarsene via. Ma era davvero per una frazione minima di secondo! Io me ne accorgevo, forse lei stessa non ne era nemmeno consapevole. Forse non sapeva nemmeno di attirare tanto la mia attenzione. Si girò pure verso di me, ma volse altrove lo sguardo quasi immediatamente, per guardar fuori.
    Mi telefonarono e mi intrattennero in futili conversazioni almeno per 15 minuti, ma con la coda dell’occhio la osservavo mentre seguitava a mandare messaggi e a guardare fuori. Mi sarebbe piaciuto sedermi affianco a lei e parlarle un po’. Mi piaceva; normalmente sono timido, ma se una ragazza mi colpisce così tanto divento spavaldo. Ma quella volta ebbi incertezza. Avrei voluto parlarle, curioso di sentire la sua voce, che immaginavo infantile. Ma mi sembrava così sconsolata che pensai di non assillarla: sarebbe stata un violenza morale.
    S’accorse che l’osservavo e con gli occhi sembrava volesse chiedermi aiuto e allontanarmi, allo stesso momento. Forse ero suggestionato, eppure non potevo non chiedermi per o per cosa fosse così abbattuta.
    Per ammazzare il tempo, iniziai a giocherellare con un fazzoletto: le feci un fiore. Manipolai il mio fazzolettino per farne una rosa e mi accorsi, ad un certo punto, che lei mi stava osservando con attenzione: lo aveva capito che il fiore sarebbe stato per lei? Pensai subito di sì. Credetti di essere riuscito a distoglierla dalle sue preoccupazioni. Mi sembrava incuriosita.
    Le persone che erano sedute davanti a lei scesero dall’autobus e allora osai alzarmi e sedermi di fronte a lei, che dette a vedere di non avermi notato. Assunse l’aria indifferente e non disse né fece nulla. Pazienza! Ormai la rosa era pronta e tutta per lei.
    Arrivati a destinazione, mi alzai, lasciai lì il mio fiore e mi avvicinai alla porta per scendere. Prima di scendere dall’autobus mi girai un’ultima volta per guardarla e con lo sguardo mi chiese se poteva prenderla. Certo che puoi, dissi io, non fare la bambina: lo sai che l’ho fatta per te!
    Scesi dall’autobus e me ne andai. Lei accettò il mio regalo.
    Ps: l’ho scritto un paio di anni fa.

    1. Bruna, passando su quest’autobus di blog hai lasciato una splendida rosa: grazie! 🙂
      Mi hai fatto venire in mente una domanda: tu cosa ne pensi della “riscrittura a posteriori”? Cioè, hai per esempio mai pensato di riscrivere questo racconto o altri ora che sono passati un paio di anni?

      1. Beh giá è un po’ rivisto, ma ho corretto la forma, l’ episodio in sé è rimasto uguale. Piú che altro avrei voglia di scrivere qualche altro racconto.

      2. Piú che altro avrei voglia di scrivere qualche altro racconto.
        Ecco, pensa che esperimento interessante riscrivere il racconto che hai voglia di riscrivere e poi pubblicarlo con “versione precedente” a fronte 🙂

  5. “Perché quando la sganci, l’anima, fa un rumore sordo.”

    Come un sasso in un lago, un tonfo che anticipa onde di emozioni che rincorrono senza mai raggiungerli i ricordi di bambino dolci come il caramello su un balcone.
    Gesti gentili e carezze con sguardi amorevoli.
    Hai scelto una bella giornata d’estate, calda e serena per salutarmi.
    Sei li sulla porta che mi aspetti ancora, preparandoti e truccandoti da tempo.
    La notizia che eri andata via per davvero entrò nei finestrini della macchina come un sasso senza preavviso ed io non piansi.
    Lo avevo già fatto con te in una bella giornata d’estate.

    Condivido rapito sentendo nell’anima, leggendoti, un tonfo che anticipa un altro rimbalzo verso il cielo e la vita che ami e dipingi con le tue parole.

    1. Diego, hai condiviso qui il tuo “caramello su un balcone”! Ma che onore!

      “Condivido rapito sentendo nell’anima, leggendoti, un tonfo che anticipa un altro rimbalzo verso il cielo e la vita che ami e dipingi con le tue parole.”

      Non c’è prigionia più dolce di quella condivisione che ti fa sentire stretto in un legame speciale con gli altri, vero?

      1. Stretto nel momento esatto in cui condividi, poi libero e felice per aver provato di nuovo quell’emozione che, ora, non è più solo mia. E’ nostra.

  6. Bella, Monia, questa messa a nudo pubblica; anche se tutti i pezzi che ho letto hanno una loro bellezza, perciò non sono affatto imbarazzanti. Però è il gesto che conta, giusto? Perciò, ecco un pezzetto del mio primo racconto.

    Eccoci qui, alla fine.
    Le gomme del camion schiacciano la ghiaia del vialetto; sento il mezzo manovrare faticosamente per uscire nella stradina angusta, poi il rumore del motore si allontana. Rimane solo il silenzio, e che silenzio. Qui il silenzio non scherza.
    Seduta, o piuttosto accasciata sul divano, mi guardo intorno. La stanza è spaziosa, dal soffitto alto, ma scatoloni e borse ammucchiati ovunque la fanno sembrare piccola. Ritornerà alle sue dimensioni normali prima o poi, spero.
    Sbircio Michele, seduto al mio fianco. Mi riconosco nel suo sguardo smarrito, mentre mi rivolge il suo tipico sorriso enigmatico, come se avesse qualcosa da dire ma fosse meglio non dirlo. Niente di strano in questo, è il suo carattere: per esprimere pensieri ed emozioni ha bisogno di tempo. Tutto si deve decantare dentro di lui prima di trovare voce; solo allora darà alle sue idee un valore sufficiente da volerle trasformare in parole, non come me, che apro la bocca e sparo quello che penso ancora prima di sapere se lo penso davvero. Il mio compagno – mio marito, potrei anche abituarmi a dirlo – lo conosco bene, e ho imparato ad aspettare senza diventare troppo ansiosa… a parte quando l’attesa va oltre le mie umane possibilità. Ma è solo una questione di tempistica, niente di più.
    Lorenzo, dal canto suo, stravaccato sulla poltrona con i piedi penzoloni, digita furioso sulla tastierina della PSP con l’indifferenza tipica degli adolescenti, che abitano il nostro mondo solo part-time. Beati loro, mi dico certe volte. Per ora gli bastano la stanchezza e un videogioco a stemperare l’impatto della novità, ma il bonus si esaurirà presto, non ne dubito.
    A pensarci, forse definirlo adolescente è prematuro; in fondo ha solo undici anni. Ma “i giovani d’oggi” sono “così avanti” che non si capisce più niente. Non male, l’effetto matusalemme. Proprio quello che mi ci vuole.
    Nel silenzio odo il lieve rumore di stantuffo prodotto dal naso del nostro cane che esamina a suo modo il nuovo ambiente, poi le unghie che ticchettano sul pavimento, esitanti. Ci vorrà un po’ di tempo e il conforto del suo vecchio, familiare, puzzolente cuscino perché Tess si senta tranquilla a sufficienza da accucciarsi per ben stare; e anche allora, per qualche ora continuerà a saettare su di noi i suoi sguardi ansiosi: “Quand’è che si torna a casa? Si torna a casa, vero?”. Smetterà di mangiare per un po’, farà pipì solo quando sarà sul punto di scoppiare, insomma ridurrà al minimo ogni funzione vitale fino a quando un qualche incomprensibile segnale le farà capire che è tutto a posto, che il suo mondo non è andato a catafascio.

    1. “Bella, Monia, questa messa a nudo pubblica; anche se tutti i pezzi che ho letto hanno una loro bellezza, perciò non sono affatto imbarazzanti. Però è il gesto che conta, giusto? Perciò, ecco un pezzetto del mio primo racconto.”

      Grazia hai colto in pieno lo spirito del post! Spogliarsi per poi capire che, forse, non c’era poi davvero qualcosa di cui “vergognarsi”.
      Vorrei ringraziarti per aver pubblicato questo stralcio del tuo racconto ma anche muoverti un rimprovero: ora come faremo a tenere al guinzaglio la curiosità, la voglia di sapere come continua? 😀

      E, a proposito di guinzagli…
      “Tess…ridurrà al minimo ogni funzione vitale fino a quando un qualche incomprensibile segnale le farà capire che è tutto a posto, che il suo mondo non è andato a catafascio.”
      Penso che almeno una volta nella vita ci siamo sentiti tutti come Tess, sai?

      1. Io di sicuro. 🙂 Quanto alla curiosità, il racconto ha proprio questo lato negativo: è l’istantanea di un momento, che non va da nessuna parte, perciò non ti perdi niente. 😉

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